La primavera è la mia stagione preferita.
Porta con sé un profondo senso di rinascita. Vedere la natura riaccendersi di colori, mi conforta un po', mi fa star un po' meglio, anche quando il turbinio di pensieri negativi mi fa perdere il respiro e le forze.
Il 21 marzo del 1931 a Milano nasce Alda Merini, una delle più grandi poetesse italiane, di una forza e un'intensità rare.
Non sono un'esperta di poesia e, infatti, ne leggo molto poca perché ho sempre il terrore di non riuscire a comprenderla. Di lei ho letto tempo fa il volume “Fiore di poesia”, che presenta anche diversi aforismi, ma in questi ultimi giorni ho voluto dedicarmi anche alla prosa, per tentare di conoscere un po' meglio la sua storia e attraverso le sue parole almeno un frammento della sua anima.
Quando venni ricoverata per la prima volta in manicomio ero poco più di una bambina, avevo sì due figlie e qualche esperienza alle spalle, ma il mio animo era rimasto semplice, pulito, sempre in attesa che qualche cosa di bello si configurasse al mio orizzonte; del resto ero poeta e trascorrevo il mio tempo tra le cure delle mie figliole e il dare ripetizione a qualche alunno, e molti ne avevo che venivano a scuola e rallegravano la mia casa con la loro presenza e le loro grida gioiose.
Ogni volta che mi avvicino a un testo autobiografico, ma soprattutto a un diario personale, lo faccio sempre con profondo rispetto, e anche un po' di difficoltà nel parlarne. Mi è successo con Sylvia Plath dei cui Diari non sono mai riuscita veramente a scriverne, e accade anche con Alda Merini. Ho sempre quella sorta di paura di non riuscire a rendere a parole quello che ho provato nella lettura, con la sensazione di errare nel mio pensiero. Pertanto è ovvio che quella di oggi, ma come del resto sempre accade in questo mio blog, non può essere definita recensione. Sono pure riflessioni di quanto ho letto e voglio diffondere, perché penso che meriti, che siano letture da fare.
Nel libro L'altra verità. Diario di una diversa, Alda Merini descrive con una prosa lirica i quasi dieci anni (dal 1965 al 1972) del suo internamento nel manicomio Paolo Pini di Milano.
Non siamo di fronte a un diario cronologico, però. Bensì a una serie di frammenti, spesso ridondanti, di pensieri e riflessioni - ma anche lettere e poesie - su questa esperienza, simile a un inferno dantesco, ma anche sulla società esterna, sull'uomo in generale. Una riflessione lucida, toccante ma pure molto forte per i temi trattati, che non può non lasciare un segno indelebile sul lettore.
Alda Merini si descrive come una sposa e una madre felice, che a volte mostra però dei segni di stanchezza e intorpidimento mentale. Una sorta di esaurimento nervoso e profonda tristezza che suo marito, Ettore Carniti, non riesce a comprendere. A seguito di un violento litigio, il marito decide di chiamare un'ambulanza che la conduce... in un manicomio.
Alda Merini aveva già affrontato un momento di cura da ragazzina, ma non conosceva i manicomi. Il primo impatto è così traumatico da spingerla a urlare in maniera disperata, ma il suo tentativo di ribellione a una scelta non sua, e assurda, ha come risultato l'essere legata e martellata di iniezioni calmanti. Quando sua sorella e il marito tornano a prenderla per portarla via, lei rifiuta.
[...] non esiste pazzia senza giustificazione e ogni gesto che dalla gente comune e sobria viene considerato pazzo coinvolge il mistero di una inaudita sofferenza che non è stata colta dagli uomini.
Il libro di per sé è breve, ma la lettura è talmente intensa da lasciarti senza fiato. Alda ci trascina con sé in quella triste esperienza, alternando momenti di poesia e bellezza - come quando le restrizioni si fanno meno dure, e i malati possono uscire, incontrarsi e godere dello splendore della natura, ma anche grazie a quei contatti umani tra di loro - ad altri di dolore e orrore. Il modo in cui i cosiddetti “pazzi” vengono trattati da medici e infermieri fa davvero male. Ti sembra di vedere e sentire tutto: il silenzio assurdo del luogo, interrotto solo dalle grida dei malati; le sedute di elettroshock o l'abuso di farmaci che dovrebbero rappresentare una cura, ma che invece contribuiscono a rendere i soggetti ancor di più degli automi, abbruttiti, simili a marionette traballanti, manichini senza volontà, a condannati nei gironi infernali. Ma anche le torture fisiche alle quali i pazienti sono sottoposti, i suicidi indotti, le difficoltà della mente, ma anche il sadismo di chi dovrebbe curare e, invece, si diverte quasi a infliggere ancor più dolore in menti già fragili o sofferenti.
In manicomio ero sola; per lungo tempo non parlai, convinta della mia innocenza. Ma poi scoprii che i pazzi avevano un nome, un cuore, un senso dell'amore e imparai, sì, proprio lì dentro, imparai ad amare i miei simili. E tutti dividevamo il nostro pane l'una con l'altra, con affettuosa condiscendenza, e il nostro divenne un desco famigliare. E qualcuna, la sera, arrivava a rimboccarmi le coperte e mi baciava sui corti capelli. E poi, fuori, questo bacio non l'ho preso più da nessuno, perché ero guarita.
Ma con il marchio manicomiale.
Sono due gli aspetti strettamente connessi che, però, mi hanno particolarmente colpita di questo libro.
Da un lato Alda Merini afferma quanto il vero inferno sia stato in verità il mondo esterno al manicomio. Alda ha vissuto in un periodo storico in cui la donna era assoggettata all'uomo, che poteva anche scegliere della sua sorte. Fino alla chiusura dei manicomi, anche chi non aveva 'malattie mentali' poteva essere chiuso in questi luoghi, bastava anche solo un sintomo di depressione o addirittura d'insonnia, per finirci dentro, ed essere subito marchiato come malato, insano. Persone diverse, davanti alle quali gli altri, i sani, hanno anche una sorta di paura. La società agli occhi di un malato diviene quindi un luogo ostile, dentro al quale è molto difficile rientrare. Tornare a instaurare dei rapporti con gli altri esseri umani è arduo, tanto che la poetessa dice: del manicomio io rimpiango tutto, specialmente la non socialità. Fuori ho cercato disperatamente di crearmene una.
Questo mi ha fatto pensare a quanti giudizi e preconcetti ci siano ancora oggi nei confronti di chi ha dei “disturbi mentali”. Si avverte ancora quel senso di paura nel parlarne, o nel scegliere di fare un percorso psicologico per star meglio: in quanti ancora provano vergogna per il rischio di essere etichettati come pazzi se scelgono di farsi seguire da un psicologo? Tuttora non mi sembra di scorgere un miglioramento in questo campo, intendo nella mentalità di molti individui. Persiste anche quella sensazione che certe 'malattie mentali' siano meno importanti di quelle fisiche. È difficile vivere in una società che pretende un certo stile di vita e di comportamenti, fuori dai quali sei subito etichettato come pazzo, diverso, strano. Quindi ho avvertito profondamente quello che doveva provare Alda - e qualsiasi altro individuo che ha condiviso tale esperienza in manicomio - una volta fuori.
Dall'altro lato mi sono molto soffermata sulla sete d'amore di cui parla spesso, e che Alda ritrova molto negli altri 'malati'. In quei piccoli gesti di affetto, che invece mancano sia da parte delle famiglie, sia da parte di coloro che dovrebbero prendersi cura di chi ha dei problemi o delle difficoltà.
Mi misero a letto, ma nessuno mi carezzò la fronte. Anzi mi legarono mani e piedi e in quel momento, in quel preciso momento, vissi la passione del Cristo.
Quando Alda Merini descrive i comportamenti di certi medici e infermieri fa venire i brividi. Pensare che tutt'oggi esistano persone incapaci di provare in briciolo di empatia, ma anzi pronti a far del male a soggetti indifesi, che dovrebbero curare e comprendere, mi scatena dentro una grande rabbia. Gestire un soggetto malato, soprattutto quando è la mente a non andare bene, non è facile. Non si può negarlo. Ci possono essere persone che sviluppano anche violenza, perché non riescono più a controllare il proprio corpo, la propria testa. Non riescono, spesso, neanche a capire quello che stanno facendo. Ma non è legandoli a un letto e lasciandoli strillare, o marcire per giorni sulle proprie feci, che puoi aiutarli. Questa degradazione dell'uomo, questo svilimento, fa davvero ribrezzo. Sono sempre stata dell'idea che per svolgere soprattutto certi lavori, bisogna avere un forte grado di empatia e comprensione, ma anche gentilezza e amore. Va bene essere saldi, ma anche non essere troppo rigidi o violenti. Perché chi è soggetto a un male mentale, non compie certi gesti di proposito.
Per mia esperienza posso dire che quando la mente non va, quando improvvisamente per qualsiasi shock subisce un colpo, diventa difficile per le persone che stanno accanto a quella persona, riuscire a mantenere la calma. Non è facile, non lo è affatto. Ci sono momenti in cui vorresti solo urlare, piangere, e sì magari anche colpire perché non sai più cosa fare. Ma in verità, sono i gesti di pazienza e profondo amore, anche una semplice carezza, a riportare quella persona indietro, da te, a calmarla, a farla sentire amata. Gesti di tenerezza che Alda si ritrova a concedere agli altri pazienti, amori sentimentali con alcuni uomini, come Pierre. Ma anche semplicemente ascoltare una persona, può far tanto.
È stata una lettura davvero intensa che ha lasciato la porta aperta a diversi pensieri, sulla natura umana, ma anche su aspetti della mia vita che sono ancora lì, ricordi di un tempo - che spero non tornerà mai più - incastrati nella mente e difficili da dimenticare. Secondo me anche profondamente attuale perché, anche se i manicomi sono stati chiusi, c'è ancora nella nostra società il pericolo di quel marchio che logora dentro: sei pazzo, insano, diverso, una persona di cui aver paura o da allontanare. Ed è davvero triste tutto ciò.
Il demente viene considerato “incapace di intendere e di volere”. Eppure, sotto la diagnosi serpeggiava quieta la mia anima dolce, rasserenante, un'anima che non era stata mai tanto luminosa e vitale, e, a volte, per consolarmi, pensavo che quella brutta vestaglia azzurra fosse il saio di san Francesco e che io di proposito l'avessi scelto per umiliarmi.
Così in questo modo gentile adoperai il silenzio, e mi venne fatto di incontrarvi il mio io, quell'io identico a se stesso, che non voleva, non poteva morire.
Eppure tra queste pagine ci ho visto anche la forza di una donna che vuole vivere e andare avanti, che riesce a rimanere lucida, e a trovare il suo io attraverso la poesia, anche grazie a un dottore che si occupa di lei, e che dimostra un po' di quell'amore di cui lei ha sempre sete. Una donna che ha sofferto ma si è rialzata e ha anche amato molto, e che sin da ragazzina è riuscita a produrre una serie di poesie e aforismi che ancora oggi in tanti condividono con affetto e anche comprensione. Una donna che sono felice di aver conosciuto attraverso diversi testi.
L'uomo è socialmente cattivo, un cattivo soggetto. E quando trova una tortora, qualcuno che parla troppo piano, qualcuno che piange, gli butta addosso le proprie colpe, e, così nascono i pazzi. Perché la pazzia, amici miei, non esiste. Esiste soltanto nei riflessi onirici del sonno e in quel terrore che abbiamo tutti, inveterato, di perdere la nostra ragione.
Oltre a L'altra verità, diario di una diversa, vi consiglio altri due titoli che possono essere interessanti da un lato per approfondire un po' la sua vita e il suo pensiero, dall'altro per chi ama i graphic novel e così un mix di disegno e poesia come omaggio a lei.
Ieri ho letto Sono nata il ventuno a primavera. Diario e nuove poesie, anche questo una sorta di diario in prosa e versi. Parole e discorsi registrati e raccolti da Piero Manni e poi rivisti con Alda stessa. Qui scopriamo un po' di più la sua esistenza, dalla sua infanzia e rapporto con i suoi genitori, ai suoi amori; dalle amicizie con gli altri intellettuali, al suo lavoro, ma anche il riferimento al periodo in manicomio. Come sempre, non mancano le sue poesie!
Sono nata il ventuno a primavera
ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta.
Così Proserpina lieve
vede piovere sulle erbe,
sui grossi frumenti gentili
e piange sempre la sera.
Forse è la sua preghiera.
Infine, ho trovato in biblioteca anche un graphic novel, omaggio di Silvia Rocchi alla poetessa milanese: Ci sono notti che non accadono mai. Canto a fumetti per Alda Merini. A mio modesto avviso è un lavoro che va letto solo dopo aver conosciuto un po' dei pensieri, delle poesie e della vita di Alda Merini, altrimenti potrebbe non essere compreso appieno. Su due strisce, Silvia Rocchi, ci mostra due immagini di Alda, figura che si muove su due binari distinti ma allo stesso tempo complementari.
In alto c'è una Merini quasi sempre senza volto, che si muove tra le mura di casa, ma anche tra le vie di Milano, alla ricerca di un contatto umano. Viene mostrata mentre dona le sue poesie, o altri oggetti, come dicono era solita fare. Dapprima viene intravista una giovane donna, che sembra non essere compresa dall'uomo con cui vive, e poi c'è uno stacco, fatto di disegni a grafite, con alberi, paludi, oscurità quasi a tratteggiare il difficile periodo in manicomio, da cui però riemerge e si rialza.
Nella striscia sotto, un'altra Alda, vestita di rosso, che avanza, collina dopo collina, attraversando diverse emozioni: conosce l'amore, ma anche la violenza, e una sorta di pietà e comprensione. A intervallare le immagini, ci sono i versi della poetessa.
Libri letti e consigliati:
- L'altra verità. Diario di una diversa, di Alda Merini. | Edizioni BUR | P. 158 | Prezzo 12 euro cartaceo - 5,99 euro ebook | Acquistalo su Amazon
- Ci sono notti che non accadono mai. Canto a fumetti per Alda Merini, di Silvia Rocchi | Becco Giallo | P. 128 | Prezzo: 18 euro cartaceo | Acquistalo su Amazon
- Sono nata il ventuno a primavera. Diario e nuove poesie, a cura di Piero Manni | Manni | P. 102 | Prezzo: 9 euro cartaceo - 4,99 euro ebook | Acquistalo su Amazon