Non siamo numeri. Le voci dei giovani di Gaza, a cura di Ahmed Alnaouq e Pam Bailey

6 giu 2025

Libri

Ci sono libri che devono essere letti, senza se e senza ma. Soprattutto davanti a un genocidio.
Ci sono voci che devono essere ascoltate, perché solo così le cose si possono capire. Bisogna squarciare il velo, andare oltre il muro eretto da una propaganda che vuole disumanizzare un popolo, o che racconta una guerra, o meglio, uno sterminio solo sulla base di numeri. 
Ecco. In ogni guerra, in ogni sterminio, in ogni genocidio quelli non sono SOLO numeri, ma sono individui con nomi e cognomi, sono bambini, bambine, ragazzi, ragazze, uomini, donne, anziani che avevano dei sogni, dei progetti di vita, delle passioni che spesso sono molto simili alle nostre, e le loro vite sono state spazzate vie con inaudita brutalità. O, semplicemente, sono persone che si aggrappano con forza alla vita, a una fievole speranza, a una possibile pace. Persone che vogliono vivere tranquillamente la propria esistenza nella LORO terra. E non si arrendono, anche quando stanno perdendo tutto, anche quando il mondo sembra voltare loro le spalle.

Ecco perché io vi invito davvero con tutto il cuore a prendere questo libro tra le mani, e leggere quelle che sono le voci dei giovani di Gaza. Andate subito nelle vostre librerie di fiducia e prendete Non siamo numeri. Le voci dei giovani di Gaza, volume a cura di Ahmed Alnaouq e Pam Bailey, con la prefazione di Cecilia Strada, pubblicato da Nutrimenti.


Diteglielo, 
diteglielo,
siamo più che numeri
più che echi silenziosi
in un registro dei morti, 
siamo famiglie 
intrecciate nell'amore,
amici,
viviamo all'ombra 
delle nostre speranze 
legati dai sogni.
(un frammento della poesia di Huda Skaik)



© una valigia ricca di sogni - marta.sognatrice

Non siamo numeri. Le voci dei giovani di Gaza è una selezione di racconti e poesie del progetto We are not numbers (WANN), nato nel 2015 dalla collaborazione e amicizia tra Ahmed Alnaouq e Pam Bailey. I vari capitoli di questo libro sono suddivisi in anni, partendo proprio dal 2015 arrivando alla fine del 2024. Si tratta di una narrazione vivida e sincera di Gaza vista attraverso gli occhi di ragazzi e ragazze tra i diciotto e i ventinove anni. 

Ma come è nato il progetto We are not numbers?


Pam Bailey è una giornalista freelance statunitense e attivista per la giustizia sociale. Ha vissuto a Gaza per tre anni (dal 2009) fino a quando non è stata espulsa e bandita da Israele. Qui, però, in quella terra che sente un po' come una seconda casa, ha incontrato il giovane Ahmed con il quale è rimasta in contatto. 


Ahmed è cresciuto a Deir Al-Balah ed era profondamente legato alla sua famiglia, ma soprattutto al fratello maggiore Ayman. Con l'operazione Protective Edge lanciata da Israele nel 2014, però, suo fratello e alcuni cari amici sono stati uccisi da un missile israeliano, facendo piombare Ahmed in un'oscurità dalla quale era difficile uscire. Grazie all'amicizia con Pam e alla capacità di ascolto della donna, Ahmed ha potuto riversare tutto il suo dolore tra le pagine di un racconto dedicato al fratello. Ed è così, che in qualche modo, è riuscito a esorcizzare il lutto subito. (Anche se in seguito ha dovuto lasciare la sua terra, nella quale non può far ritorno e ha perso altri 21 famigliari...). Ma giovani come Ahmed ce ne sono tanti in Palestina. E quindi, perché non estendere tale progetto anche agli altri? 


Così è nata l'idea di We are not numbers, grazie anche alla collaborazione con Ramy Abdu, e coinvolgendo lo stesso Ahmed di cui ne è diventato direttore. Tra i primi collaboratori figurava anche Refaat Alareer, amato professore di inglese che ricopriva il ruolo di consulente e mentore dei giovani che hanno risposto all'appello di WANN. Inoltre, tale progetto vede la presenza di diversi mentori, autori, insegnanti, giornalisti che hanno aiutato questi ragazzi, instaurando con loro anche un rapporto di sincera amicizia. 


Se io devo morire,
tu devi vivere
per raccontare la mia storia...
Che porti speranza
che diventi un racconto.
- Refaat Alareer


Le parole del professore ucciso da Israele e al quale questa antologia è dedicata risuonano spesso negli ultimi giorni. Sono lette, condivise, è come se il suo spirito continui a vivere nonostante tutto. Ho sempre pensato che la scrittura sia qualcosa di molto potente: permette da un lato di lasciar fluire in qualche modo il dolore, ma allo stesso tempo può aiutare a trasmettere agli altri quello che davvero provi, quello che sei veramente. 

In un mondo in cui si tende a disumanizzare l'altro per riuscire così a giustificare certi atti di una violenza inaudita, libri come questo aiutano, invece, ad andare oltre i numeri e la più squallida propaganda, scoprendo così esseri umani proprio come noi. 

Sono racconti e poesie che mostrano cosa significhi veramente vivere sotto la violenza, l'apartheid, l'occupazione, sotto il terribile suono dei droni e delle bombe, e le umiliazioni quotidiane. C'è paura, frustrazione, tristezza, rabbia, ma c'è anche la speranza che si può ritrovare nella nascita di un nuovo bambino, come vendetta per quello che ti hanno ucciso; o nel dipingere le pareti grigie delle case e delle macerie, bombardando Gaza di nuovi colori; o, ancora, nel far volare degli aquiloni al di là di un muro, perché se non possono lasciare quella prigione a cielo aperto, almeno così possono far arrivare i loro spiriti. 

È un volume che ti permette di accedere direttamente alle vite dei Palestinesi, senza intermediari o censure. E per questo, quindi, fondamentale. Siamo arrivati a un punto in cui, a mio parere, bisogna dare molto più risalto a quelle che sono le loro voci, anziché soffermarsi solo su chi parla o scrive per loro. Perché solo i Palestinesi stessi possono rivelare al mondo cosa si prova davvero a vivere una vita del genere; possono riuscire a trasmettere magari soprattutto ai loro coetanei i loro sogni, i loro desideri, le loro passioni.

Ci hanno derubati dell'infanzia e della felicità e poi ci dicono che siamo noi i terroristi. Mi dispiace, ma non ricordo di avervi puntato un'arma in faccia per uccidervi, a meno che non consideriate terrorismo i nostri giochi per strada. Avete idea di quanto, in quei giochi, volevamo e ci battevamo per essere il poliziotto che difende i poveri bambini e li protegge dai soldati israeliani? - Yara Jouda (2016)

Leggendo queste pagine è facile trovare delle affinità. C'è ad esempio l'amante dei libri, che però può leggere solo in PDF. Per Khaled la lettura è il modo in cui riesce ad affrontare bombardamenti e morte. In lui c'è la speranza e il desiderio di poter avere una biblioteca ben fornita e visitare il mondo.

C'è chi cita Van Gogh, Il Trono di Spade, Doctor Strange, o ancora chi ama il personaggio di Wonder Woman, ma prova un profondo senso di tradimento nel vederla interpretare da Gal Gadot, che per Omnia è proprio la personificazione di tutto ciò contro cui combatte l'eroina dell'Universo DC. 

C'è chi sogna di viaggiare e scoprire il mondo, o anche solo di poter muovere i suoi passi nella sua terra, nella Palestina, come Enas. Un permesso che è difficile ottenere, perché l'oppressore gestisce ogni cosa. Israele controlla la terra, il cielo, l'energia, l'acqua, gli alimenti e anche il mare, che sembra perdere l'idea dell'infinito, per divenire una sorta di lago, perché sì, anche spostarsi troppo in quel loro gioiello, nella loro anima, significa rischiare la vita. Eppure in Ali mi sono rivista, quando dice che il mare è la mia anima gemella, è il luogo dove scarico lo stress, condivido i miei sogni, e piango liberamente. Forse perché anche io ho sempre visto nel mare un modo per alleviare un animo ferito, o semplicemente dove trovare un po' di respiro davanti a un mondo sempre più marcio.

I ragazzi e le ragazze di Gaza scrivono della morte, della perdita della propria casa, della mancanza di elettricità, dei piccoli e grandi piaceri, dei loro sogni, ma anche delle sfide quotidiane (come la disoccupazione molto alta, la depressione che spesso non viene neanche curata o presa in seria considerazione). Leggere queste pagine ti fa entrare in empatia con la loro tristezza, la disperazione provata, ma anche con la tenacia che hanno, la speranza in un futuro migliore che si avverte soprattutto nei testi precedenti l'ottobre del 2023. Sono pagine pungenti, forti, che potrebbero anche far provare dolore, ma sono sensazioni che ormai dobbiamo sentire, perché è ora che il mondo smetta di voltarsi dall'altra parte, di essere complice.

Ci sono anche storie di torture, soprattutto nelle testimonianze dell'attuale genocidio, che a me hanno ricordato certe immagini compiute dai nazifascisti. Ragazzi come Yusuf, costretti a spogliarsi, ad accovacciarsi in un angolo dove gli animali avevano depositato i loro escrementi, percossi in maniera brutale accusati di far parte di Hamas, o padri arrestati solo per la somiglianza al leader della resistenza palestinese. Da ottobre 2023 le storie si fanno ovviamente ancora più disperate, con violenze, abbandono delle case in cui erano conservati tutti i propri ricordi e che vengono distrutte, così come le Università spezzando sogni e futuro; sfollamenti continui e la terribile consapevolezza che a Gaza nessun luogo è sicuro. Ma del resto, queste immagini, possiamo vederle ogni giorno, se solo la smettessimo di concentrarci unicamente sulle nostre vite.

Sono giovani con i nostri stessi pensieri e paure: come Omnia che è guardata male per il suo corpo non conforme, o Asmaa che è stanca di dover essere forte e di non poter semplicemente dire di essere depressa, perché per il mondo loro devono esserlo sempre, devono resistere, e per la sua cultura non bisogna arrendersi mai. 

Non manca però l'amore che sboccia anche tra le macerie, o ancora il senso di solidarietà molto forte tra la popolazione. Ci sono i momenti in cui la famiglia si ritrova nel salone, a parlare del presente ma anche del passato, illuminati solo dalla luce delle candele; o ancora quelli preziosi davanti a quel mare che è parte della loro anima, e che concede loro almeno una fievole tranquillità in una vita così dura. 

Come dicevo, poi, il libro è suddiviso in capitoli sulla base degli anni che vanno dal 2015 al 2024. 
Scorrono quindi vari eventi, dall'operazione Protective Edge durante la quale tra il luglio e l'agosto del 2014 la striscia di Gaza subì pesanti bombardamenti nei quali furono uccisi più di 2100 palestinesi, tra i quali 500 bambini; alla Grande marcia del ritorno del 2018, la storica protesta antiviolenta per reclamare il diritto dei rifugiati di tornare nella propria terra, e che costò anche in questo caso la perdita di molte vite umane. 

Il 7 ottobre non è venuto fuori dal nulla: il mondo sembra essersi dimenticato che, da sedici anni, due milioni di palestinesi di Gaza lottano contro un brutale assedio militare. Siamo stati tagliati fuori dal resto del mondo e imprigionati in una striscia di terra. Le gravi carenze di medicinali salvavita, cibo, elettricità e acqua potabile sono all'ordine del giorno per noi, e ci rendono la vita insostenibile. Di conseguenza, i giovani hanno iniziato a prendere delle decisioni drastiche. - Basma Almaza (2023, dopo il 7 ottobre)

A me ha colpito anche il riferimento alla pandemia del 2020 che ha scosso tutto il mondo, ma che ho rivalutato anche sulla base dei pensieri di questi ragazzi e ragazze. Aya, in particolare, si domanda se la pandemia abbia davvero reso il mondo simile a Gaza. E per rispondere a un tale quesito prova a descrivere le loro condizioni: niente ventilatori perché l'energia erogata da Israele è rara, serbatoi d'acqua spesso vuoti e la difficoltà di potersi fare la doccia davanti a quel caldo assurdo, zero privacy. A ciò si aggiunge anche il racconto di Akram, nel quale spiega quanto fosse difficile anche fare acquisti on-line, perché Israele ci cancella, anche quando facciamo acquisti in internet. 

Le loro parole mi hanno fatto molto riflettere sul fatto che anche se eravamo chiusi in casa, a noi, in verità, non mancava nulla. Potevamo fare docce rinfrescanti, ordinare il cibo che volevamo, fare acquisti tranquillamente on-line. C'era la paura, la difficoltà nel vivere lontano dai nostri parenti, il rischio di essere colpiti dal virus e perdere la vita... ma, in fondo eravamo molto più liberi rispetto a una realtà occupata.

Tra queste pagine si avverte anche il senso di colpa di chi è riuscito ad andare via da Gaza, prima o anche durante il genocidio, ma che ha dovuto lasciare la famiglia lì. Ci provate anche solo a immaginare una sensazione simile? Tu, così giovane, che hai la 'fortuna' di essere lontano da quell'inferno, ma con la costante paura di perdere le persone amate.

Perché no, non sono numeri.
Erano e sono padri, madri, figlie e figlie, erano e sono fratelli e sorelle, amici e amiche, zii e zie, nonni e nonne, insegnanti, e molto altro. Persone con nomi e cognomi, con sogni e passioni. 
C'è chi tra loro ha realizzato un po' il proprio sogno, come Mosab Abu Toha che ha vinto il premio Pulitzer, o come Hind Khoudary che, conservando sempre il ricordo dell'amato padre nel cuore, è riuscita a diventare giornalista e continua anche oggi a raccontare il genocidio per media come Al Jazeera English o l'agenzia Andalou, rischiando ogni giorno, perché facile obiettivo dell'Idf.

La forza sboccia nelle difficoltà. Anche quando ci si convince di non poter realizzare i propri sogni, si può scoprire che niente può davvero spezzarci. Ho smesso di sognare di lasciare Gaza, perché sono sicura di poter contribuire a rendere questo posto migliore da dentro. Nonostante le difficoltà quotidiane, non rinuncerò al mio paese. Diffonderò il messaggio di amore, forza, speranza e tolleranza che rappresenta la Palestina. - Hind Khoudary (2016)

Come dice anche Anas, i palestinesi non sono né vittime né eroi. Sono persone che vivono una vita non dissimile dalla nostra, tra scuola e lavoro, amori e tradimenti, che ascoltano canzoni diverse a seconda degli stati d'animo, come Hello di Adele quando sentono la mancanza di qualcuno. Persone che amano il mare o la bellezza di un tramonto. Sono persone come noi, che meritano di vivere una vita dignitosa, nella propria terra, nella propria Patria, senza più violenza, barriere, limiti, insicurezze. I Palestinesi chiedono di essere ascoltati. Pensiamo ancora che voltandoci dall'altra parte staremo bene con la nostra coscienza? Per questo vi invito seriamente a leggere questo libro, a non pensare unicamente a dei semplici numeri, e a seguire anche il sito di We are not numbers dove troveremo molte altre storie.

Da quando ho iniziato a osservare, a informarmi, ad ascoltare penso sempre con ammirazione a questo popolo. No, non sono eroi, ma hanno tanto da insegnarci. In loro vedo un forte amore per la vita e per la propria terra, la capacità di adattarsi alle circostanze, anche quelle più dure, la loro fede incrollabile che forse noi non possiamo davvero comprendere. Sono anime che riescono a trovare anche fiori tra le macerie, che hanno sempre cercato di donare un po' di colore al grigio della loro esistenza. Loro insegnano la vita, dove altri portano solo il culto della morte. 

Impariamo ad ascoltarli e, nel nostro piccolo, condividiamo le loro voci. 
Alcuni di questi ragazzi e ragazze nel frattempo hanno perso la loro vita a causa di Israele. Ricordiamoli.



Ringrazio di cuore Laura per avermi proposto la lettura di questo libro così prezioso.
Potete trovare il volume nelle librerie o negli store on-line.

IL LIBRO

Non siamo numeri. Le voci dei giovani di Gaza
AA Autori Vari, Ahmed Alnaouq, Pam Bailey
Casa editrice: Nutrimenti
Traduzione di: Clara Serretta
Pagine: 368
Prezzo: 18.00€
Anno di pubblicazione: 2025
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