Un giorno nella vita di Abed Salama. Anatomia di una tragedia a Gerusalemme, di Nathan Thrall

23 Apr 2024

Libri

Oggi è la Giornata mondiale del libro (e dei diritti d'autore), ma non voglio soffermarmi ancora una volta su quanto sia bello leggere, sui libri che amo, sul mio adorato William Shakespeare (auguri, bardo del mio cuore), e via dicendo. Vorrei condividere con voi una di quelle letture che ritengo fondamentali per conoscere, comprendere, e soprattutto aprire gli occhi. Veramente, però.

Io sono stanca di un mondo che non solo si volta dall'altra parte, ma crede troppo ingenuamente (o forse stupidamente) alla propaganda falsa che ci vogliono imporre. Ecco perché ho iniziato a leggere diversi libri sull'argomento, da saggi, romanzi fino ad arrivare a questa sorta di reportage su un avvenimento realmente accaduto nel 2012 e che vede come vittime dei poveri bambini palestinesi molto piccoli. Ma non solo.

Grazie alla gentilezza di Giulia di Neri Pozza, ho potuto leggere una loro ultima uscita: Un giorno nella vita di Abed Salama. Anatomia di una tragedia a Gerusalemme, del giornalista Nathan Thrall.
Uno di quei romanzi che non vuole dare domande né risposte, né imporre un pensiero o una morale. L'autore narra le vicende avvalendosi di numerose fonti e interviste, e quello che emerge da queste pagine ti entra dentro, e ti spezza anche un bel po'. 

Conoscevano tutti la rapidità con cui gli israeliani raggiungevano una strada della Cisgiordania non appena un bambino si metteva a scagliare sassi. Eppure i soldati al checkpoint, le truppe alla base di Rama e i camion dei pompieri negli insediamenti vicini non avevano fatto nulla, avevano lasciato bruciare il pullman per più di mezz'ora.



© una valigia ricca di sogni - marta.sognatrice


Milad Salama ha cinque anni ed è molto emozionato per la gita scolastica che lo aspetta! Il suo baba Abed ha comprato per lui una bottiglia di Tapuzina, un tubo di Pringles e un ovetto Kinder, la sua merenda preferita. Il giorno della gita è arrivato, ma il tempo è pessimo: cielo grigio, raffiche di vento, pioggia a dirotto. Haifa, sua madre, osserva con ansia tutto ciò, ma prepara lo stesso con cura il suo bambino: lo aiuta a indossare la divisa della scuola privata, gli mette sulle spalle il suo zainetto e lo vede schizzare via fuori dalla porta dopo averle dato un bacio. Suo padre Abed dorme ancora. 
Tuttavia è un giorno terribile per la comunità di Anata, un villaggio palestinese della Cisgiordania, a non troppa distanza da Gerusalemme. Dopo qualche ora, infatti, Abed scopre che c'è stato un terribile incidente «con un alto numero di vittime» sulla Jaba Road - che tutti hanno iniziato a chiamare «la strada della morte»: uno scontro tra un tir israeliano e uno scuolabus che non solo è stato ribaltato ma ha anche preso fuoco. Inizia così la lunga giornata di un padre palestinese che vuole semplicemente ritrovare il corpo di suo figlio, sapere se sia vivo, riportarlo a casa. 

Ecco, se la storia fosse ambientata in un altro luogo, forse sarebbe stato tutto facile. Ma ciò è - veramente - accaduto in una terra piena di confini, di muri che separano territori, di regole spietate e continui checkpoint che fanno perdere ore preziose, di controlli, notizie false, documenti sbagliati, diritti negati... sì, anche quello di un padre che vuole solo conoscere la sorte di suo figlio. 
Apparentemente, soffermandoci sul titolo, può sembrare un racconto in cui seguiamo questo padre alla ricerca disperata del suo bambino, in verità questo è solo lo spunto da cui si diramano poi una serie di altre storie che vedono coinvolti non solo il passato dello stesso Abed Salama, ma anche di altri palestinesi e israeliani, e della storia stessa della Palestina. 

Jaba Road era una delle tante circonvallazioni progettate per ridurre i tempi di percorrenza dei coloni, per dare loro un senso di sicurezza e creare l'illusione di un'interrotta presenza ebraica da Gerusalemme fino agli insediamenti. Ma quando Israele costruì nuove circonvallazioni, Jaba Road finì per essere utilizzata principalmente dai palestinesi. L'unica corsia che portava a est faceva da arteria principale intorno a Gerusalemme per le circa duecentomila persone che non vi potevano entrare. Divenne nota come «strada della morte».

C'è, ad esempio, Huda Dahbour, endocrinologa cinquantenne, madre single, a capo dell'ambulatorio mobile gestito dall'UNRWA, che davanti a quella carneficina a cui si trova ad assistere, ricorda il giorno peggiore della sua vita e riflette anche sulle contraddizioni interne degli stessi Palestinesi; o ancora un'insegnante d'asilo e un meccanico che rischiano la propria vita pur di salvare quante più creature possibili visto il ritardo - voluto o impedito - dei mezzi di soccorso; conosciamo l'incontro tra un ufficiale israeliano e un funzionario palestinese che deve sempre rispondere alle autorità israeliane, o la storia di due madri che sperano di trovare i loro figli ancora vivi. 

Per questo accanto alla tragica cronaca dei bambini vittime dell'incidente stradale, c'è anche la possibilità di approfondire numerosi dettagli su quella che è stata e continua a essere la vita in quei territori, la formazione dello stato di Israele, la creazione dei muri, ma anche la Nakba, le Intifada, e tanti altri elementi essenziali per comprendere davvero quel che è accaduto e continua ad accadere anche oggi in quella Terra martoriata da un odio impossibile anche solo da descrivere. 

Nathan Thrall con questo romanzo-reportage, ricavato (e successivamente ampliato) da un articolo che scrisse per la New York Review of Books nel 2021 e pubblicato negli Stati Uniti prima del 7 ottobre 2023, non cerca di porre domande o dare risposte, semplicemente descrive, attraverso le numerose interviste fatte ai vari protagonisti della vicenda, come sia vivere in un paese occupato. E soprattutto mostra come tale tragedia (avvenuta nel febbraio del 2012) non sia stata solo un semplice incidente, ma il risultato di una politica di apartheid imposta da Israele nei confronti dei Palestinesi, per controllare le loro vite, e pian piano prendere sempre più i loro territori.

Se si fosse trattato di due bambini palestinesi che tiravano pietre sulla strada, l'esercito sarebbe arrivato in un attimo. Quando a essere in pericolo erano gli ebrei, Israele mandava gli elicotteri. Invece se c'era di mezzo un autobus in fiamme pieno di bambini palestinesi, gli israeliani arrivavano quando ormai tutti i bambini erano già stati portati via? «Volevate che morissero!» terminò di dire Salem.

Provate solo a immaginare una vita in cui sei costantemente controllato, cacciato, e arrestato con estrema facilità. Un'esistenza fatta di muri che dividono non solo territori, ma che spingono a seguire strade più lunghe e alle volte anche più pericolose, quando magari potresti arrivare a una certa destinazione con molta più facilità. Immaginate le ore passate ai checkpoint, dove se sei in possesso di un documento verde - quello degli ex detenuti (quello blu è di chi ha la cittadinanza israeliana e può accedere con più facilità a Gerusalemme) - rischi anche di essere picchiato e trattenuto, nonostante tu possa avere un'urgenza. O ancora la difficoltà di raggiungere feriti - come in questo caso - perché bloccati dal caos delle strade mal gestite dagli Israeliani stessi, che non hanno mosso nessun gesto d'aiuto per salvare vite umane, nonostante fossero bambini di cinque anni... Umiliazioni quotidiane, difficoltà anche solo per muoversi per lavoro o... andare a un parco divertimenti grazie a una gita scolastica. Attraverso una singola storia, insomma, tra queste pagine possiamo trovare la rappresentazione di una sofferenza collettiva. 

Accanto ad alcune cose che già conoscevo, in questa narrazione ho potuto approfondire anche altri elementi importanti. Ad esempio, molte famiglie dei villaggi della Cisgiordania sono state costrette a iscrivere i loro figli in scuole private, spendendo anche mille dollari l'anno, pur di non far vivere ai loro bambini il pericolo dei controlli nei checkpoint israeliani. Ricordiamo, infatti, con quanta facilità anche i più piccoli vengano arrestati (o peggio uccisi). 
Il muro che separa le due parti di Gerusalemme, poi, è stato realizzato dagli Israeliani stessi cercando di ridurre quanto più possibile la presenza palestinese nella città santa.

Ci sono anche altre descrizioni di realtà degradanti, estremamente misere, dove numerosi sono i casi di tossicodipendenza - soprattutto giovanile -, ma anche aree totalmente trascurate, quasi senza elettricità, dove si sviluppò un'economia illegale: dal passaggio di droghe tra i due popoli, allo scarico di prodotti nocivi solo nelle zone palestinesi.

Non conoscevo poi la storia degli ebrei mizrahim: immigrati dal Medio Oriente e dal Nord Africa erano in realtà trattati con disprezzo dall'élite Ashkenazita di Israele che li considerava «ebrei primitivi». Addirittura rubarono loro i figli, fingendo fossero morti. Quando emerse la verità, i funzionari israeliani avevano giustificato tutto con una motivazione assurda: i mizrahim erano arretrati e il rapimento era stato fatto per il bene dei bambini stessi.

«Mamma» le aveva detto,  «ti voglio tantissimo bene». 
Dopodiché era salito sull'autobus.

Vi ho dato solo alcuni spunti, ma vi invito a recuperare questo libro. Non è finzione, è realmente avvenuto. Continua ancora oggi a verificarsi in forma ancora più terribile, non solo a Gaza, ma sì, anche nelle zone della Cisgiordania dove questo libro è ambientato. Non riesco a trovare le parole giuste per descriverlo, so solo che ha scatenato in me un mix di rabbia e profonda tristezza. Certe frasi, ormai, non mi hanno neanche più stupita, sentendole anche ora da ragazzini cresciuti in questo clima d'odio.

Leggere di Palestina non è mai facile, ma io credo che sia essenziale farlo - soprattutto ora - per capire davvero quali siano i metodi di un Stato nel mettere in ginocchio un popolo. Uno stato dichiarato “l'unica democrazia del Medio Oriente” e sostenuto da altri Stati 'Democratici' a cui non importa nulla di inviare armi di ogni tipo per uccidere innocenti, e che reprimono sempre di più il dissenso di chi non è d'accordo nell'essere complice dell'orrore.

Lo so che quando affronto certe letture cedo del tutto a una componente più emotiva, forse, ma ve lo chiedo ancora con tutto il cuore: leggete, informatevi, ascoltate voci anche dei Palestinesi. Non bloccatevi su notizie spesso di parte, o perlomeno cercate di analizzare bene le parole usate da giornalisti dei cosiddetti paesi democratici. Non fermatevi poi alla mera narrazione dei buoni - bianchi - contro i cattivi - neri, arabi -, perché davvero rischiate di perdere tutta la vostra umanità. E, invece, proprio dal popolo palestinese potreste apprenderne tanta. 


IL LIBRO

Un giorno nella vita di Abed Salama: anatomia di una tragedia a Gerusalemme
Nathan Thrall
Casa editrice: Neri Pozza
Traduzione di: Christian Pastore
Pagine: 272
Prezzo: 19.00€
Anno di pubblicazione: 2024
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