Questo libro è stata una sorpresa. Una di quelle che proprio non ti aspetti, ma che sei felice di trovare.
Di Daniele Coluzzi avevo letto già un romanzo, Io sono Persefone e mi era piaciuto molto, quindi per me è stato un vero piacere leggere qualcos'altro di suo. In questo caso siamo davanti a un libro che è più una raccolta di frasi, di parole e citazioni dal mondo antico, greco e latino, che però sono dei concetti anche piuttosto attuali, per cercare di riflettere su noi stessi, sui nostri sentimenti, e sul presente. Non avendo mai studiato né greco né latino per me è stato anche un modo per provare a conoscere qualche termine o frase, quindi oltre al messaggio che vuole trasmettere al suo lettore, o meglio al suo Naùtes, io ci ho aggiunto anche una sorta di curiosità personale.
A chi consiglio Così si arriva alle stelle? Da un lato a chi ha studiato queste lingue e ha voglia di ritrovare qualche parola, proverbio o aforisma che conosceva già o magari no. Ma anche a chi, come me, non sa proprio nulla di greco o latino, ma è dotato di una forte curiosità, e perché no, magari ha voglia di provare a riflettere su alcuni aspetti di sé o trovare risposta a domande che, in fondo, l'uomo ha sempre avuto.
Vi consiglio davvero di cuore di recuperare un'opera di giornalismo investigativo, che ha vinto anche il Walkley Book Award nel 2023: Laboratorio Palestina. Come Israele esporta la tecnologia dell’occupazione in tutto il mondo, di Antony Loewenstein.
Se avete voglia di capire quel che accade veramente in questo assurdo e violento mondo, se volete smetterla di chiudervi nella vostra bolla e comprendere che non sia qualcosa che sta accadendo solo lontano da noi, ma ci riguarda tutti, allora vi consiglio di prendere in mano questo libro e iniziare a leggerlo. Lo so. Farà male, farà arrabbiare, a un certo punto ti svuoterà anche dentro. Però la ritengo una lettura essenziale, per aprire gli occhi, e smetterla di essere bloccati dalla più becera propaganda di uno stato etno-nazionalista che di democratico non ha proprio un bel niente.
Una generazione in bonaccia.
Forse l'essenza di questo nuovo lavoro di Paolo Palladino è tutta qui. O forse c'è molto di più tra le righe.
Quando Paolo mi ha chiesto se volessi leggere il suo nuovo lavoro, ho accettato perché avevo già apprezzato il suo Nello sguardo della volpe. Quello che subito mi ha colpito della sua scrittura e che ho ritrovato anche qui è la capacità di affrontare anche argomenti seri e complessi, con una buona dose di ironia. Leggere i suoi libri mi aiuta a sorridere e a fare anche una sana risata, in un mondo sempre più nero. Ma fa anche riflettere, in modo semplice, soprattutto su quella generazione che ha appena concluso l'università e si ritrova in una sorta di limbo, di confusione. Ragazzi e ragazze che hanno paura di trovare il proprio posto nel mondo.
Io forse sono già più grande, avendo finito l'università da anni, eppure mi ritrovo ancora in questa sensazione.
Oggi vi presento Bonaccia, la storia di Nicolò, un ragazzo che si ritrova a vivere quell'estate sospesa tra la fine degli studi e la ricerca del lavoro, e che lo porterà a crescere, a divenire adulto. Un'estate immobile, calda, almeno nel mondo fuori, ma dentro di sé qualcosa verrà smosso con forza. Un vortice di sentimenti, un nuovo intenso amore, un turbinio di pensieri, un lutto difficile da superare.
Ci sono libri di cui non è così semplice parlare, né tantomeno leggere. Eppure, allo stesso tempo, io li trovo fondamentali per comprendere certi conflitti, molti aspetti di una triste attualità che stiamo osservando, alcuni da lontano, altri vivendoli sulla propria pelle. In modo particolare, trovo interessanti quei lavori tesi a far emergere le voci di chi sta attraversando di persona l'orrore della guerra. Voci che Katerina Gordeeva ha scelto di ascoltare, per poi riportare in questo testo - Oltre la soglia del dolore - pubblicato, con coraggio visto il tema, dalla casa editrice 21Lettere. Una realtà editoriale che, come avrete ormai capito, io apprezzo molto.
Quando ho letto la trama di questo libro l'ho subito sentito mio. Mi sento particolarmente vicina al tema toccato, tanto che voltata l'ultima pagina sono sorte diverse riflessioni anche sulla mia vita, su questa realtà che forse non è così lontana dalla distopia narrata in queste pagine. L'Unità di Ninni Holmqvist - che esce proprio oggi in libreria per Fazi Editore (ringrazio di cuore Cristina per la copia digitale che ho potuto leggere in anteprima!) - è uno di quei libri a cui continui a pensare anche dopo diversi giorni, perché riesce a solleticare le corde del tuo cuore, a far emergere un flusso di pensieri che non restano solo fermi alla narrazione vera e propria, ma possono portare ad analizzare anche la nostra realtà, o forse, perché no anche noi stessi.
Voi avete un animale guida? Uno di quelli a cui sentite di essere particolarmente legati? Io sono sempre stata affascinata dai gatti, creature di una bellezza incantevole, ma anche ricche di mistero. Nel caso del libro di cui voglio scrivere oggi, invece, c'è una volpe, una sorta di spirito protettivo che comparirà molto spesso nella vita del protagonista: Jacopo.
Quando Paolo Palladino mi ha presentato il suo romanzo breve Nello sguardo della volpe mi ha subito colpito per la trama: la storia di un'ossessione, intrisa di realismo magico in salsa romana. Leggendolo mi sono ritrovata a sorridere grazie ai momenti trascorsi nel Bar del Parchetto - grazie all'uso del dialetto romano, che personalmente amo moltissimo -, ma anche a essere totalmente coinvolta in questa spirale di incubi nei quali sprofonderà il giovane protagonista, fino ad arrivare a un finale che mi ha spiazzata e lasciata a riflettere per qualche momento. E devo dire che mi è piaciuto molto.
Oggi torno a scrivere di un'altra piccola, importante, opera di Frances Hodgson Burnett: Nella stanza chiusa, pubblicata da Caravaggio Editore (che ringrazio per la copia), e inclusa nella collana I Classici Ritrovati. La traduzione è di Enrico De Luca e Giordano Milo.
Un racconto breve, concepito in soli quattro giorni nell'estate del 1903, che non può essere semplicemente inteso come una storia per bambini, ma tra le pagine l'autrice cerca di affrontare un tema doloroso che l'ha coinvolta in prima persona: la morte di bambini, in particolare di suo figlio Lionel (morto di tisi nel 1890).
Uno scritto che mi ha commossa e che ho molto apprezzato. In tutta sincerità, sono veramente felice di essere andata oltre i suoi romanzi più famosi, per scoprire nuove sfumature di una penna che amo molto.
Cosa si può fare quando si perde la propria scintilla creativa?
Quando si prova sconforto, oppressione, quando il peso delle aspettative ci schiaccia inesorabilmente?
A volte, allontanarsi sembra essere la via più facile, per poi ritrovarsi. Ma è davvero così?
È quello che un po' succede a Samuel Beauclair, protagonista del nuovo graphic novel recentemente pubblicato da 21Lettere, una casa editrice che personalmente amo molto per il loro progetto editoriale e i titoli che finora non mi hanno mai deluso. Questa volta andiamo a Melvile, una cittadina immaginaria creata dalla mente e dalle tavole di Romain Renard, un poliedrico artista belga. Autore di fumetti, scenografo, grafico e musicista, Renard ci regala un'opera che ha un taglio cinematografico e fortemente introspettivo. Facendo delle ricerche, per pura curiosità, ho scoperto che è il primo volume di una trilogia tutta ambientata in questo villaggio, ricco di ampi spazi naturali ma anche di miti e leggende. Devo ammettere che spero proprio di continuare a leggere anche gli altri lavori per avere una visione più completa della sua idea.
Si potrebbe pensare che leggere troppo spesso romanzi sulle streghe sia noioso, nel senso che in fondo le storie e i temi sono tutti uguali, ma vi assicuro che non è così. Leggere questi libri permette di conoscere la Storia, ma soprattutto di ridare voce a quelle donne che hanno subito le torture più atroci, a cui è stata strappata la possibilità di parlare, a causa della superstizione, del marcio potere degli uomini, o semplicemente per trovare un capro espiatorio a cui addossare ogni genere di problema.
Romanzi come questo di cui vi parlo oggi permettono di approfondire ancor di più pagine di storia che forse non abbiamo studiato, ma che meritano attenzione.
Dopo aver letto e scritto delle Streghe di Pendle, torniamo in Inghilterra, questa volta a Manningtree, nell'Essex, per conoscere la sorte di Rebecca West e delle altre donne accusate, ingiustamente, di stregoneria. Qui, risalta, in particolare l'oscura figura dell'Inquisitore Generale, realmente esistito, Matthew Hopkins. Giovane e spietato.
Ringrazio Fazi Editore per avermi permesso di leggere una copia digitale de “Le Streghe di Manningtree” di A. K. Blakemore.
Cos'è l'Infanzia per voi?
Che ricordi avete di quei momenti?
Se penso alla me bambina mi viene spontaneo sorridere con tenerezza. Sì, diciamo che non sono poi tanto cambiata, per alcuni aspetti: ero tanto timida, molto solitaria, non amavo essere ripresa in video e foto, ma adoravo correre per la campagna, arrampicarmi sugli alberi, stare in mezzo ad animali (potrei raccontarvi la storia della mia amica Gallina, ma non mi pare questo il contesto giusto). Un'infanzia spensierata, in fin dei conti ho avuto dei bei momenti.
Ma sono consapevole che non per tutti possa essere stato un momento così felice, forse. Dipende dalla famiglia o dal luogo in cui nasci.
Ad esempio, per l'illustratore Jean-Jacques Sempé non è stata tutta rosa e fiori, anche se lui ha tentato di colorarla in qualche modo, trovando conforto nella radio, nel disegno e forse anche nell'immaginazione.
Non lo conoscevo, lo ammetto, ma ero molto curiosa di scoprire il suo lavoro. E devo ringraziare ancora una volta, Valentina della casa editrice 21Lettere per avermi permesso di immergermi nell'intervista contenuta in questo volume, e tra diverse illustrazioni di Sempé tutte riferite proprio al tema dell'Infanzia.