Il valzer degli alberi e del cielo, di Jean-Michel Guenassia - Recensione

9 May 2017

Libri

Amare l'arte significa anche ricercarla nei romanzi. Quando mi è stato proposto un libro sugli ultimi giorni della vita di Van Gogh, ho subito avanzato la mia voglia di leggerlo e lasciare la mia più onesta opinione. L'ho concluso proprio ieri, e oggi ve ne parlerò!

Intanto ringrazio la casa editrice Salani, per avermi concesso questa opportunità!

Vincent non era disposto a lasciarsi amare. Mi amava a modo suo, e io non lo capivo e non lo accettavo. Avrei voluto che mi amasse più della pittura, e questo era impensabile. Non poteva sacrificare la pittura per me; era semplicemente inconcepibile. Nella sua vita non c'era posto per una donna e la pittura. Si è sforzato ma, di fronte a un campo di grano, un tetto di paglia o un pagliaio, io non contavo niente. Nella mia memoria ho serbato soltanto i momenti allegri, Vincent non era triste o arcigno, era come un bambino che scopre il mondo, avevamo milioni di cose da dirci. Ma lui sapeva che il nostro tempo era contato. Io no. Lui sapeva, d'istinto, molto prima che io l'ammettessi, che siamo soli sulla Terra e che contro questo non possiamo far nulla. Soli di fronte a noi stessi. Soli in mezzo agli altri. Qualunque cosa ci si possa inventare per far credere il contrario. E Vincent è riuscito a dipingere proprio la bellezza di questa profonda solitudine.

Ho voluto esordire con questo brano perché è quello che mi è rimasto più impresso. Vincent è riuscito a dipingere proprio la bellezza di questa profonda solitudine. È una frase che mi ha molto colpita. E non mi sento poi così distante da questo pensiero. Certo, nella vita i rapporti sono molto importanti, ma molto spesso nelle scelte da prendere e in molte occasioni ti ritrovi a scontrarti con te stesso. Sei tu di fronte al mondo o, ancor peggio, a te stesso.

Ma di cosa parla questo libro? Il tutto parte da una domanda alla quale non si è mai trovata veramente risposta: Van Gogh si è davvero suicidato? In molti hanno pensato che non ci fosse veridicità in questa affermazione. Ed è proprio questo lo spunto che ha consentito a Guenassia di realizzare una storia sulle ultime settimane di vita di un Artista che ben presto diventerà molto amato e apprezzato - ancora oggi - da tutto il mondo: Vincent Van Gogh.

Come si sa, Vincent fu inviato in cura ad Auvers-sur-Oise presso il Dottor Gachet, ed è proprio qui che si svolge l'intera vicenda, narrata però da un punto di vista esterno: quello di Marguerite Gachet, la figlia diciannovenne del medico.

Sin dalle prime pagine, Marguerite ci presenta, in prima persona, la sua difficile situazione. Alla morte di sua madre, Marguerite si sente sola al mondo, non amata da un padre per cui lei sembra quasi invisibile, e costretta - come molte donne dell'epoca - a scelte di vita lontane dal suo spirito, dalla sua volontà. È, infatti, promessa a sposa a un uomo che non ama e che non la ama, e non può studiare nell'Accademia delle Belle Arti, perché preclusa alle donne. La ragazza, infatti, ha un sogno: quello di diventare un'artista, di riuscire a esternare il suo talento, che purtroppo ancora è piuttosto acerbo, limitandosi spesso a copiare le opere di altri. In casa sua girano spesso artisti, come Pissarro, in quanto suo padre ama circondarsi di arte è solito farsi pagare per le cure attraverso i loro quadri.

Quando Marguerite vede per la prima volta Vincent, lo scambia per un bracciante, ma successivamente, scoprendolo intento a dipingere un quadro, rimane completamente affascinata dal suo stile, dal suo estro creativo, dall'abilità nel riversare i colori su tela. E pian piano se ne innamora.

Ed è dal mio posatoio, nel pieno di questo dannato mese di maggio, che lo scorgo: ancheggia a passo lento sul sentiero che viene da Pontoise, come se avesse l'eternità davanti a sé, il cappello di feltro calcato sul retro della testa. Penetra per dieci passi nel campo di grano sofferente. S'inginocchia, la testa sepolta nelle spighe corte e secche, rimane per un momento in quella strana posizione, poi si raddrizza e la sua mano accarezza la superficie degli steli come se fosse una stola di seta. Con quel cappello, somiglia a uno di quei giornalieri poveramente vestiti che vanno di fattoria in fattoria a mendicare un po' di formaggio. Alza gli occhi verso il poggio, temo che venga a cercare un po' d'ombra nel querceto, ma lui si rimette in cammino verso Auvers, senza fretta, e dopo l'ansa del fiume sparisce alla mia vista.

Nel momento stesso in cui si concede a lui, inizia a provare come l'ingenua sensazione di sentirsi sua moglie e di poter trovare una via di fuga da una vita che non le appartiene. In Vincent scorge un possibile Maestro, anche se più di una volta e con modi anche bruschi, lui si oppone all'insegnarle qualcosa. Interessante in particolare è questo passaggio che ben delinea il fatto che non ci sono leggi o regole, il talento viene da dentro.

«Non capisci niente! Io ti parlo di te, dannazione! La pittura non s'impara, le lezioni non servono a niente! Perché prendere lezioni con dei cattivi pittori, che uccideranno ciò che c'è di meglio in te, che temono ciò che è moderno come la peste perché producono soltanto cose gelide e senz'anima? Le lezioni servono soltanto a seguire la via tranquilla e priva di rischi che ha imboccato il professore, a intrappolarsi nel suo stesso vicolo cieco. Non aver paura di metterti in pericolo, di romperti il muso e di soffrire. Trova la tua strada da sola, non hai bisogno di nessuno per essere pittrice, guarda ciò che hai davanti, chiudi le palpebre e dipingi ciò che vedi dentro di te. E se non vedi niente, se non c'è niente, smetti di dipingere.»

Quello che emerge è un uomo con tanto da regalare al mondo, ma anche dagli improvvisi modi bruschi e irruenti.

Il loro rapporto, ai suoi occhi di ragazza ingenua, si fa sempre più forte, più profondo, più... fatale. Per entrambi. Perché non potrà nascondere a lungo la sua relazione segreta, e quando suo padre la scoprirà, la sorte della fanciulla e del suo amore non pare la più idilliaca. Una prigioniera della sua stanza, con il volto tumefatto, e i sogni frantumati, ma con una temerarietà e forza d'animo che non abbandona.

Eppure Marguerite non mi ha convinta. Sì, da quel che dice e vorrebbe fare, potrebbe apparire come una figura forte, determinata a non cedere a un destino già scritto, con la voglia di opporsi alle angherie di un padre che non la ama, o che forse vede in lei una figura che può causargli dolore, ma di fare di tutto per l'amore per il suo uomo e per l'arte.

Ma alla fine? A me pare sottomettersi e non reagire più. Tante parole, e poi un fuoco spento. È più facile vedere in lei un insieme di sospiri e illusioni tipici dell'innamoramento, più che dell'amore. L'essersi spinta troppo oltre con le convinzioni che sono solo proprie. Il volere forse troppo da una persona che in realtà vive solo per l'arte, il suo Amore più grande e forte, la vera linfa della sua esistenza. Uno scontro troppo grande per una donna.

«Faccio un quadro al giorno, e moltissimi disegni. Quando non dipingo, è una perdita di tempo. Se potessi non smetterei mai di dipingere. A volte sogno di passare giorni e notti lavorando. Dico a me stesso che, se ci riuscissi, dipingerei meglio, con più forza, e toccherei il limite estremo della pittura, che renderebbe tutto il resto inutile. E finalmente sarei libero e felice. Ma bisogna pur smettere, e vivere.»

Ai pensieri di Marguerite si alternano vari estratti di giornali e lettere storiche (molte anche dello stesso Van Gogh), che se da un lato permettono di inserire la storia in un perfetto contesto storico e culturale, dall'altro a volte fermano un po' il racconto. Avrei forse preferito maggiori lettere storiche di Vincent a suo fratello o ai suoi amici pittori, rispetto a fatti storici che sì, possono inquadrare gli eventi dell'epoca, ma distolgono in dei momenti l'attenzione dalla storia principale.

Lettera di Vincent a Théo, 15 novembre 1878 «L'arte è così ricca che, se soltanto una persona riuscisse a tenere a mente ciò che ha visto, avrebbe sempre di che nutrire i propri pensieri e non sarà mai davvero sola, mai più sola.»

È un libro che consiglio? Sì, se non ci si aspetta troppo. Perché ammetto che a me non ha convinto pienamente. Forse perché mi attendevo un'attenzione più approfondita e particolare a Van Gogh e alla sua pittura (e infatti, i pezzi più belli sono quelli in cui viene mostrato lui e il suo lavoro). Ma anche perché i personaggi non hanno questa grande forza. Sono un'amante di quei romanzi dove la figura femminile riesce a coinvolgerti totalmente, a farti tifare per lei e il suo coraggio, ma... Marguerite non è riuscita a convincermi. Anzi, a volte l'ho trovata davvero una ragazzina che dice molto, ma fa poco. O che pretende qualcosa di impossibile. Ma forse sono io a non essere riuscita ad entrare in perfetta sintonia con lei. Quindi il mio giudizio è piuttosto soggettivo.

Però sì, sento che poteva essere un romanzo descritto in maniera migliore. Con potenzialità, ma non sfruttate pienamente.

Resta comunque una bella storia, per le anime più sognatrici e romantiche. Per chi ha voglia di scorgere, comunque, tra queste pagine l'amore e l'arte. Due elementi che adoro e che mi hanno permesso di non giudicare del tutto negativamente questa lettura. Se non vi aspettate troppo, come me, sicuramente può essere una bella lettura.

E poi, chi non vorrebbe essere al posto di Marguerite e osservare il genio a lavoro? Vincent riesce a farle vedere con occhi nuovi quei luoghi così semplici e banali al semplice occhio umano,  in cui lei è nata e cresciuta, donando loro nuova linfa, nuova luce, nuova vita.

Con indosso la giacca azzurra, una camicia bianca, dei pantaloni neri, protetto dal cappello di feltro, porta in spalla una borsa di tela; con la sinistra regge un cavalletto da campagna e, sotto il braccio destro, ha una tela vergine. Si ferma sotto il poggio su cui mi trovo io. Contempla il grano, apre il cavalletto e lo piazza all'orlo del campo, ne allunga le gambe e ci posa sopra la tela. Dalla borsa tira fuori pennelli, una tavolozza, dei tubi di colore. Dal punto in cui mi trovo non posso vedere come prepara la tavolozza né quello che comincia a dipingere. È già tanto se indovino che la tela si colora. Dipinge aderente alla tela, senza osservare il campo, come se avesse memorizzato tutto o sapesse già cosa intende dipingere. Quando riprende del colore col pennello non guarda la tavolozza, in ogni caso non gira la testa. Mi sorprendono i suoi modi bruschi. Non posa la pittura sulla tela con delicatezza, come si fa di solito, ma con nervosismo, come se in mano avesse una frusta e colpisse il dipinto, sembra che abbia fretta, si muove a scatti. [...] A volte si tira un po' indietro per esaminare il lavoro, rimanendo immobile, ma non osserva mai il campo. Può darsi che, alla fin fine, dipinga qualcosa che ha in testa, non quello che ha davanti agli occhi. Poi si lancia di nuovo in quel corpo a corpo, flagella la tela con colpetti frenetici.  [...] Esistono parole per esprimere la sensazione che provo vedendo per la prima volta un quadro di Vincent? Rimango sbalordita, muta, pietrificata, come se avessero appena aperto l'Arca dell'alleanza e io avessi avuto la rivelazione, come se avessi infine scoperto ciò che mi era stato da sempre tenuto nascosto. Sono passata mille volte davanti a quel paesaggio che era per me simile a mille altre vallette tranquille, ma ciò che vedo non è né banale né tranquillo, sono spighe e alberi che vibrano come se fossero vivi e abbarbicati alla vita, con il vento che li sommuove, il giallo che guizza dappertutto e il verde che trema.


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Il valzer degli alberi e del cielo: l'ultimo amore di Van Gogh, di Jean Michel Guenassia Editore: Salani Pagine: 280 Prezzo: 16,90 euro (cartaceo, brossura fresata con alette) - 9,99 euro (Ebook)

Voto: ♥♥♥/5

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