Mary Ventura e il nono regno, di Sylvia Plath

16 Dec 2022

Libri

Ho scoperto Sylvia Plath per caso, grazie alla lettura di un romanzo. Colpita, ho voluto buttarmi subito sul suo lavoro autobiografico in prosa - non essendo appassionata di poesia - “La campana di vetro” e me ne sono innamorata, pur affrontando temi non facili da gestire, come la depressione e i tentativi di suicidio. Mi sono poi dedicata ai Diari, tra le cui pagine e nei cui pensieri mi sono spesso ritrovata. Quando li ho letti ho avuto da un lato paura, dall'altro lato mi sono sentita compresa. E da lì ho iniziato a leggere anche altre opere su di lei, qualche poesia, fino a scoprire la pubblicazione di un altro racconto: “Mary Ventura e il nono regno”, che dovevo subito avere! 

«Su questa linea non ci sono viaggi di ritorno» disse piano la donna. «Una volta che arrivi al nono regno, non puoi più tornare indietro. È il regno della negazione, della volontà congelata. Ha molti nomi.»


© una valigia ricca di sogni - marta.sognatrice



Nel dicembre del 1952 Sylvia Plath è studentessa dello Smith College in Massachusetts. Ed è proprio in quel periodo che scrive un breve racconto dalle atmosfere surreali e oniriche, «un racconto vagamente simbolico» come è lei stessa a definire, e lo invia alla rivista Mademoiselle che, però, lo respinge. In seguito proverà a modificarlo, ma il libro resterà chiuso in un cassetto. Ci vorranno diversi anni per vederlo pubblicato, dapprima negli Stati Uniti e in Gran Bretagna nel 2019, e poi finalmente in Italia proprio quest'anno! 

Mary Ventura è una ragazza che viene costretta dai suoi genitori a prendere un misterioso treno che parte dal binario 3 e raggiunge il Nono Regno. Non si sa bene dove tutto sia ambientato, e anche questo viaggio, se all'inizio sembra molto reale, pian piano assume dei contorni quasi fantastici, ambigui, simbolici, appunto. Mary non sembra avere la forza di opporsi, anche se prova a farlo. Ma è un'esitazione troppo mite, e alla fine viene lasciata dai genitori da sola in una carrozza del treno. Un attimo prima della partenza, una signora dagli occhi azzurri e con in mano una borsa color terra, le chiede se può sedersi accanto a lei. È l'inizio di un viaggio strano, che porterà però Mary a dover reagire, a prendere finalmente in mano la sua vita, a «risvegliarsi da un sonno di morte» e compiere una «decisione inequivocabile» che la porterà a fuggire da quella destinazione finale, e anche a essere pronta a non prendere la strada più facile. Mentre il treno corre rapido, dal finestrino il paesaggio cambia visibilmente: nel cielo sembra sospeso un piatto disco arancione, luci al neon rosse lampeggiano fuori dalle poche stazioni in cui si ferma, e poi una galleria dalle cui pareti nere pendono rivoli di ghiaccio grigio tra le crepe delle pietre. Poi ci sono le persone che compiono lo stesso viaggio: pian piano la donna al suo fianco le fa aprire gli occhi. Sembrano tutti felici, ma in realtà sono apatici, ciechi, come se non fosse per loro importante la destinazione. Come se fossero bloccati e rassegnati, incapaci di reagire, vuoti, spenti...  

La Plath fa ampio uso di colori, ma è soprattutto il rosso a essere predominante: il rosso sangue delle labbra, quello del cappotto di Mary, o delle luci al neon delle stazioni... non manca poi l'uso dei rumori delle ruote del treno che sembrano evocare da un lato il ticchettio di un gigantesco orologio, quasi a sottolineare il tempo che scorre, e dall'altro a incutere presagi funesti nel cervello di Mary, un senso di colpa per non essere riuscita a ribellarsi al volere dei suoi, per aver preso quel treno in un viaggio senza un possibile ritorno.

Il moto alternato delle ruote del treno le incuteva presagi funesti nel cervello. Colpa, chiocciavano le ruote del treno come rotondi uccelli neri, e colpa, e colpa, e colpa.

È un racconto piuttosto strano, ambiguo, anche da descrivere. Essendo davvero breve non posso raccontarvi proprio tutto, ma devo ammettere che a me è piaciuto molto. È una di quelle storie che possono essere aperte a diverse interpretazioni. Secondo me, se ci si sofferma unicamente sul testo, può essere visto come una sorta di viaggio onirico e simbolico, che spingerà una ragazza a compiere finalmente un gesto per se stessa, a scrollarsi di dosso la sensazione di dover ubbidire ai suoi genitori, e ribellarsi, scegliendo lei stessa cosa fare della sua vita. Ho trovato affascinante anche un possibile riferimento al viaggio compiuto da Dante, attraverso l'Inferno, per poi uscire guidato da Virgilio (qui nelle vesti della misteriosa donna che riesce a compiere il viaggio più volte) verso la luce del Paradiso. Quei collegamenti ai nove cerchi dell'Inferno, qui visti come stazioni e Regni. Il nono regno, la destinazione finale, infatti, è visto come un luogo ghiacciato, dove la volontà viene completamene congelata; non sembra parallelo a quel nono cerchio dantesco dove soffia un vento gelido che congela le acque del fiume infernale?

Se, invece, affrontiamo il testo in relazione alla vita di Sylvia Plath potremmo interpretarlo in maniera differente. Il viaggio simbolico affrontato da Mary Ventura ricorda un po' quello psicologico che anche Esther de La campana di vetro deve vivere e che, in fondo, ha provato sulla sua pelle anche la stessa Sylvia (essendo una sorta di autobiografia). In quei volti apatici dei passeggeri presenti sul treno diretto al Nono Regno, possiamo quasi vedere individui svuotati dalla depressione, in un viaggio infernale che può portare a quel suicidio a cui Sylvia ha spesso pensato nella sua vita e, infine, attuato.

Nel periodo della scrittura di questo testo, Sylvia Plath ha un crollo che la porta per la prima volta a pensare al suicidio - cosa che tenterà poi di fare da lì a qualche mese, pur venendo salvata -. Andando a rileggere i Diari, ci sono anche riferimenti - a mio avviso - ad alcuni particolari che vengono descritti in questo suo racconto: come il sole arancione come un disco piatto appiccicato a un cielo acre e fumoso, o anche la sensazione di essere condannata a bruciare nel ghiaccio. Sylvia riesce poi a sfogarsi con un'amica, a riprendersi, a trovare una sorta di speranza di uscire da quella campana di vetro, e tornare a essere allegra e produttiva. A cavarsela da sola. 

Vi riporto solo qualche frammento dei suoi diari:

Avevo perso ogni prospettiva; stavo vagando in un disperato purgatorio (con un uomo grigio in una barca grigia su un fiume grigio: un apatico Caronte che si ciondola su uno Stige inerte e flemmatico... e un Gesù bambino lagnoso che fa i capricci in treno...). Il sole arancione era un disco piatto appiccato a un cielo acre e fumoso. L'inferno era la Grand Central Subway di domenica mattina. E io ero condannata a bruciare nel ghiaccio, fredda e intorpidita, a rigirarmi, svuotata di sensazioni, nei vuoti cristallini, neutri, passivi... 
- Diari, 14 novembre 1952

o ancora:

Quanta speranza in più ho io adesso rispetto alla mia Mary Ventura. (...)
Voglio assaporare ciascun giorno e bearmene, senza mai temere la sofferenza né rinchiudermi in un guscio di torbida indifferenza o smettere di interrogare e criticare la vita per scegliere la strada più facile. 
- Diari, 12 gennaio 1953


Non so quale sia l'interpretazione più giusta del testo, ma ho trovato interessante analizzarlo e perdermi di nuovo nella scrittura di una donna che sento per certi versi tanto affine a me.

Insomma se, come me, amate Sylvia Plath, vi invito a scoprire anche questa piccola perla arricchita dalle illustrazioni di Mònica Bonet. Secondo me non può mancare nella vostra libreria. 

IL LIBRO

Mary Ventura e il nono regno
Sylvia Plath
Casa editrice: Mondadori
Traduzione di: Silvia Pareschi
Pagine: 80
Prezzo: 12.00€
Anno di pubblicazione: 2022
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