Con Hermann Hesse provo sempre un po' di difficoltà a buttar giù pensieri. Già durante la lettura mi è sembrato di compiere un percorso emotivo fatto di alti e bassi, momenti in cui sono totalmente coinvolta dalle descrizioni evocative, filosofiche e poetiche, alternati ad altri in cui provo un po' di sofferenza e, lo ammetto, anche una sorta di sottile noia. Mi piace essere del tutto sincera quando scrivo di libri, ma mi preme anche sottolineare due punti: da un lato sono perfettamente consapevole di non sapere tutto, anzi, ci sono vari momenti in cui ho bisogno di più tempo per comprendere meglio un libro, o magari non sempre arrivo ad assimilare certi concetti complessi; dall'altro lato c'è anche da dire che ognuno di noi ha le proprie impressioni sui libri che legge, sul modo in cui certe letture ci arrivano.
Non sono una critica letteraria né una professoressa, non ho studiato Hesse, anche se ho cercato nel mio piccolo di informarmi - come sempre -, quindi prendete sempre le mie parole come quelle di una semplice lettrice che a volte accetta di affrontare delle sfide di lettura (in questo caso una proposta del mio compagno) e prova a dire la sua. Giusta o sbagliata? Chissà. Chi può dirlo. Alla fine, il bello della lettura è anche lasciar emergere la propria interpretazione o pensiero.
Che poi detta così sembra che non mi siano piaciuti questi racconti. Non è così. È solo che continua il mio rapporto conflittuale con un autore che a tratti mi piace moltissimo, ma in altri momenti non arrivo a comprendere in maniera totale (e certi elementi particolarmente spirituali non sono a me affini).
Tutta questa premessa per arrivare al succo: oggi cercherò di affrontare i tre racconti lunghi (o romanzi brevi) di questa raccolta. Knulp (il vagabondo gentile), Klein e Wagner (e la sua crisi esistenziale), e L'ultima estate di Klingsor (un artista al suo tramonto).
Non vedi che hai dovuto fare il vagabondo per poter portare dovunque un po' di stoltezza infantile e di risate puerili affinché tutti gli uomini dovessero volerti un po' di bene e prenderti in giro ed esserti un po' grati?
A Knulp ero un po' affezionata già prima di leggerlo. È un nome che mi ha unita al mio compagno, in un certo modo, come Luthien. Sveliamo rapidamente la cosa: avevamo chiamato così i nostri personaggi in un gioco di ruolo on-line e, visto che ci siamo conosciuti in questo modo, diciamo che quei due avranno sempre un posto speciale nel mio cuore.
Knulp, dicevamo. Va bene il nome, ma chi si cela davvero dietro? Il primo personaggio che emerge dalla penna di Hesse in questa raccolta è un vagabondo, gentile, dai modi affabili, un po' filosofo, capace di incantare un po' tutti. In effetti, pur avendo scelto una vita simile, è sempre bene accolto da tutti gli amici che ha trovato nel corso dei suoi viaggi attraverso la Germania. La sua è stata una scelta dovuta a una delusione amorosa, che lo ha portato in un certo senso a non fidarsi più degli altri, ma, allo stesso tempo, è sempre legato alla nostalgia del luogo che ha lasciato, a un passato la cui catena non è mai riuscito a spezzare veramente. Questo breve romanzo è suddiviso in tre capitoli: nei primi due riusciamo a scorgere un po' il carattere di questo personaggio, il modo in cui è accolto dagli amici, in cui riesce a incantare le donne, ma anche alcune riflessioni personali su certi aspetti dell'esistenza umana. Nell'ultimo, invece, vediamo il ritorno al suolo natio e la scoperta di un terribile male che minaccia la sua vita. Andando oltre la semplice trama, quello che emerge è un'indagine sul concetto di libertà che si oppone alla 'stabilità' degli altri artigiani, medici, o comunque personaggi che Knulp incontra, che a differenza sua hanno scelto una vita più semplice, lineare, dettata dalle regole della società.
Knulp è uno spirito libero che ha un vero e proprio rifiuto delle convenzioni sociali, di una vita statica. Infatti, lo vediamo incontrare le persone, passare del tempo con loro, ma poi svanire ben presto, a volte senza lasciare neanche un messaggio o un saluto.
Ma è veramente felice? In verità emerge la sua grande solitudine, ma anche un turbamento interiore che lo porta a riflettere sul significato della sua vita e del suo posto nel mondo. Arrivato alla fine della sua esistenza s'interroga proprio su questo: ha veramente vissuto? La sua vita ha avuto un senso? Forse sì, perché nei suoi continui viaggi, ha lasciato comunque una traccia indelebile nei cuori di molte persone, risate e gratitudine, ma anche un po' di nostalgia per la libertà. Una libertà che in molti non possono assaporare. La gentilezza di Knulp arriva sicuramente anche al lettore.
Devo dire che questo primo racconto mi è piaciuto abbastanza. Sono anche felice di aver scoperto finalmente da dove derivasse quel nome.
C'erano sempre stati due Friedrich Klein, uno visibile e uno segreto, un impiegato e un delinquente, un padre di famiglia e un omicida.
Klein e Wagner mi ha dato quella difficoltà in più di cui parlavo all'inizio di questo articolo. Ci sono descrizioni meravigliose, davvero liriche e interessanti, alternate però ad altri momenti in cui ho provato un po' di fatica. Eppure, provando a superarle anche con l'aiuto di una rilettura e di alcune ricerche, il senso che ne viene fuori è davvero intenso.
Friedrich Klein è un impiegato di banca, marito e padre di famiglia, che a un certo punto della sua vita sembra perdere la sua personalità: insoddisfatto della sua esistenza, comprendendo anche di non amare veramente la moglie, un giorno ruba una grossa somma di denaro dall'azienda per cui lavora e, dopo essersi procurato una pistola e dei documenti falsi, scappa al sud, verso l'Italia. Durante questo viaggio, si ritroverà ad affrontare anche un vero e proprio viaggio nel suo io interiore, nel mondo dell'inconscio per arrivare a comprendere il motivo di un tale gesto e ritrovare anche la propria autenticità. In effetti, ci troviamo di fronte a un uomo che si accorge di avere una vita 'piccola' (come il suo nome) e che vuole liberarsi dalle catene di un'esistenza già scritta, dai ruoli imposti dalla società. Klein per troppo tempo segue la voce della ragione, mosso da sensi di colpa per ciò che ha fatto e per non riuscire ad adattarsi alle aspettative sociali, e mai quella del cuore. Ma chi è veramente? E cosa vuole? Pian piano dovrà imparare a lasciarsi cadere, ad accettare la vita anche nelle sue difficoltà, senza perdere di vista se stesso, accettandosi e seguendo la propria autenticità, il proprio cuore e le passioni, senza sentirsi vincolato dalle aspettative o dai giudizi degli altri o, ancora, dai 'dettami' della società.
È un viaggio fisico, ma soprattutto interiore, che spinge forse anche noi lettori a interrogarci sul senso della nostra esistenza, sull'importanza di seguire il nostro cuore, provando a lasciare da parte i sensi di colpa che derivano troppo spesso dalle aspettative degli altri, dalle assurdità di una società che ci vuole tutti in un certo modo. E magari, imparare a lasciarsi andare, accettando la vita come viene, senza farsi fermare troppo dalla paura.
Con la sua scrittura di pennellate puntigliose, sovraccariche, serrate, spasmodiche, dipingeva la sua vita, il suo amore, la fede, la disperazione.
La terza novella narra l'ultima estate di un pittore di successo, Klingsor. Ammetto che tra i tre è quella che mi ha colpito meno, restandomi poco impressa. In quell'ultima stagione della sua vita, Klingsor vive con intensità e anche con una certa frenesia le sue passioni, non solo l'arte che plasma la sua vita e che sembra quasi una sorta di gioco contro lo scorrere del tempo, ma anche le amicizie, i suoi rapporti con le donne, e la passione per il bere. E forse, è proprio in quelle fiamme della sua esistenza, che cerca di bruciare o esorcizzare quel senso di angoscia e di malinconia che lo opprime, mentre sente sempre più vicina la morte. E nell'ultimo, febbrile, dipinto - un autoritratto - al quale si dedica giorno e notte, quasi sull'orlo della pazzia, cerca quasi di riflettervi la bellezza e l'essenza della vita, e forse, perché no, analizzare anche se stesso.
Questo credo che sia il racconto davanti al quale ho più difficoltà a trovare le parole più opportune: ma ogni volta che penso all'arte, e agli artisti, sorge sempre un pensiero fisso, quello di lasciare una traccia nel mondo, di trovare da un lato un senso al proprio vivere facendo emergere anche la propria anima e le proprie emozioni sulla tela, dall'altro lato quello di cercare una sorta di immortalità. L'artista può anche raggiungere il suo tramonto, ma la sua arte rimane nei secoli.
Knulp, Klein/Wagner, Klingsor sono personaggi differenti, che però racchiudono tanti temi in comune: cercano un significato nella loro vita, sono afflitti o vogliono vivere la loro solitudine, e sono mossi da profondi conflitti interiori che devono risolvere, ciascuno a suo modo, finendo poi per accettare la morte.
Non lo so quanto di quello che ho scritto in questo articolo abbia un senso. Prendetelo come una riflessione di una semplice lettrice. Se vi va, ovviamente potete lasciarmi le vostre impressioni se li avete letti. Sono aperta a un confronto, rispettandoci a vicenda.