Amleto, di William Shakespeare - #aTeatroconShakespeare

14 Jan 2022

Libri

Lettura di dicembre 2021 per il mio progetto #aTeatroconShakespeare

Scrivere di Amleto non è facile.
Forse perché è un'opera così amata e conosciuta, e anche complessa, che sovviene quella paura di non riuscire a esprimere al meglio le riflessioni. Non resta che tentare, nella speranza di rendere quantomeno omaggio a uno dei lavori più belli di William Shakespeare.
Questo Dramma della Vendetta, infatti, riesce a incantare sin dalle prime battute. Resta facilmente impresso. Quante frasi, in fondo, ripetiamo di quest'opera, spesso magari neanche facendoci troppo caso? C'è del marcio in Danimarca, la terra in cui è ambientata la storia del giovane principe Amleto e delle sue continue riflessioni sul senso dell'esistenza, sull'essere o l'apparire, sull'agire o restar fermi.

Essere o non essere, questo è il dilemma.


Amleto l'archetipo dell'uomo moderno.
Amleto siamo noi, o quantomeno possiamo rifletterci nei suoi pensieri, nei suoi moti d'animo, nella sua malinconia, nelle sue fragilità, convinzioni e contraddizioni.

Fonti:

  • Historiae Danicae Libri di Saxo Gramaticus, 1514: i libri III e IV sono dedicati alle vicende del leggendario Amleth, principe, poi re, dello Jutland.
  • Histoires tragiques, quinto volume, di François de Belleforest.
  • Riscrittura dell'ur-Hamlet (Amleto originario) andato perduto.
  • The Spanish Tragedy, di Thomas Kyd

Pensieri sull'Opera


Essere... o non essere. È il problema. 
Se sia meglio per l'anima soffrire
oltraggi di fortuna, sassi e dardi, 
o prender l'armi contro questi guai
e opporvisi e distruggerli. 
Morire, dormire... nulla più. E dirsi così
con un sonno che noi mettiamo fine
al crepacuore ed alle mille ingiurie naturali,
retaggio della carne!
Questa è la consunzione da invocare,
devotamente. Morire, dormire;
dormire, sognar forse...
[Amleto III-i]

 

Opera (c) Eugène Delacroix, Hamlet and Horatio in the Graveyard

A Elsinore in Danimarca, in una cupa notte, un'illusione spettrale appare agli occhi di alcune sentinelle di ronda. Un Fantasma che ha tutte le fattezze del Re Amleto, morto da poco. Appare sfuggevole e muto, ma come scosso da una grande pena. Orazio, buon amico del giovane Amleto, decide di rivelarlo al principe, certo che a lui dirà qualcosa.

Amleto indossa il colore del lutto, come pieno di tenebra e disperazione è il suo cuore. La morte del suo adorato padre ancora grava sulla sua anima, così come il disprezzo per sua madre, la Regina Gertrude, che in così breve tempo si è sposata di nuovo con Claudio, il fratello del defunto marito. Un atto ignobile, un incesto, agli occhi del figlio. Ma ancora non sa di quale terribile delitto si è macchiato suo zio, che ora siede anche sul trono.

Il fantasma del Re Amleto appare al figlio e a lui solo rivolge parola: non è morto per cause naturali, ma con l'ausilio di un veleno è stato ucciso proprio da suo fratello. Chiedendo di far vendetta e di ricordarlo, svanisce, lasciando il giovane ancor più turbato ma scosso da un profondo desiderio di far giustizia. Eppure, in più di un'occasione si dimostra quasi titubante, incapace di agire, o meglio... Amleto attende l'occasione giusta, vuole capire, riflette su se stesso e su quel mondo in cui si sente fuori quadro. Amleto dubita. Prima di commettere un qualsiasi gesto punitivo vuole comprendere se davvero quel fantasma dica il vero, o sia solo uno spirito maligno capace di far leva sulla sua malinconia.
Per far ciò, grazie all'aiuto di alcuni attori, mette in scena un'opera teatrale - un teatro nel teatro - nel quale va a rappresentare il delitto descritto. Se per qualche motivo il Re Claudio, suo zio, avrà anche il minimo sussulto, saprà che il racconto era veritiero. E non resterà che agire.


Le azioni dei malvagi non possono sfuggire agli occhi degli uomini. Con tutto il suo sforzo la terra non riesce a nasconderle. [Amleto, I-ii]  

Amleto, inoltre, indossa la maschera della follia per compiere la sua personale indagine. Agli occhi della sua famiglia, ma anche dei cortigiani e dell'amata Ofelia, si finge pazzo. Sconvolto dal comportamento di sua madre, poi, inizierà a provare un odio verso tutte le donne, anche per colei che fino a quel momento diceva di amare e alla quale decantava dolci versi d'amore. La offende, la allontana da sé, la spinge a chiudersi in un convento. Eppure, ci si interroga molto sul suo comportamento: Amleto forse tenta di non farla cadere in quel vortice oscuro e vendicativo che sta creando e nel quale rischia di perdersi? Amleto ama quella fanciulla, ma è troppo scosso da pensieri suoi, da quella sete di vendetta, da quel profondo turbamento interiore che lo spinge anche a riflettere - nel soliloquio più famoso dell'opere - sull'essere o non essere, sul continuare a vivere in un mondo di affanni, amarezze e tormenti, o ribellarsi, preferendo la morte. Ma a frenarci è la paura di morire. Non ha tempo per pensare all'amore; un sentimento a cui però è difficile credere, nel vedere con quanta rapidità sua madre si sia concessa a un altro uomo, pochissimo tempo dopo la morte del marito.

Durante la recita de La trappola per topi, il Re Claudio si alza e se ne va. Il suo gesto sarà l'inizio di un vortice che culminerà con la morte di quasi tutti i personaggi.

Presta l'orecchio a tutti, ma a pochi la tua voce. Senti il parere di tutti, ma pensa a modo tuo. [Polonio, I-iii]  

Amleto fa parte dei cosiddetti Problem plays, che Giorgio Melchiori ha definito Drammi Dialettici. Qui c'è un'indagine profonda sulle motivazioni essenziali delle azioni umane. Più che l'azione in sé, infatti, importanti sono i dialoghi, le macchinazioni, le riflessioni. Da un lato abbiamo la solitudine e malinconia di Amleto, che spesso si ritrova solo, in mezzo alla scena, a riflettere sulla nostra condizione di uomini e sul senso - o meglio non senso - della vita. È un personaggio che riflette un turbamento interiore dell'essere umano quando perde ogni punto di riferimento (la morte dell'amato padre, il 'tradimento' di sua madre). Diventa quindi una sorta di specchio dell'uomo moderno, un archetipo dell'uomo con tutte le sue fragilità, i suoi limiti, le sue incertezze, le sue convinzioni e contraddizioni. Un personaggio, quindi, nel quale possiamo tutti ritrovarci.

Dall'altro lato ci sono i complotti e le macchinazioni degli altri personaggi di corte: dal Re Claudio, al suo consigliere Polonio, ma anche Rosencrantz e Guildenstern, vecchi amici di Amleto, che ora diventano pedine di suo zio, mosse per controllarlo o farlo uccidere.


Vi sono in cielo e in terra, Orazio, assai più cose di quante ne sogna la tua filosofia [Amleto I-v]

 

Non mancano i personaggi femminili: Gertrude e Ofelia.
Due donne differenti, ma unite da un grande amore nei confronti di Amleto.
Di Gertrude, in verità, può esserci un iniziale dubbio sul suo coinvolgimento nell'assassinio del marito. Complice o vittima inconsapevole? Shakespeare rimane molto sul vago. Appare, però, come una donna abbastanza debole, incapace di comprendere a fondo suo figlio, o di andare contro Claudio. Un personaggio difficile da descrivere, divisa e combattuta e travolta come tutti gli altri personaggi dalle dinamiche di potere, di amore, morte e vendetta.

Ofelia è uno dei personaggi che più mi è rimasto nel cuore, sin dalla prima lettura dell'opera. In verità, parla poco, eppure la sua presenza resta facilmente impressa. È una fanciulla buona e amorevole, divisa tra l'amore e il rispetto per suo padre Polonio e il fratello Laerte, e l'affetto che nutre nei confronti di Amleto. Ofelia potrebbe essere una sorta di ancora di salvezza per Amleto, ma lui la allontana da sé quasi con ferocia. La giovane non comprende quel mutamento dell'amato, quella follia che sembra impossessarlo. E quando Amleto le uccide - per sbaglio - il padre, qualcosa si spezza dentro di sé. Se Amleto finge di impazzire, la fragilità di Ofelia si sgretola contro una crudele realtà. Ofelia perde il senno. Le ultime immagini della sua esistenza hanno una tale intensità da essere indimenticabili.

In quel ruscello dove un salice sghembo
specchia le sue brinate foglie nella corrente vitrea;
là ella intrecciava fantastiche ghirlande
di ranuncoli, d'ortiche, di margherite,
e di quelle lunghe orchidee purpuree
alle quali i franchi pastori dànno un nome più volgare,
ma che le nostre fredde vergini chiamano dita di morte;
e lassù, mentre s'arrampicava per appendere
i suoi diademi d'erba alle pendule fronde dell'albero,
un invidioso ramo si ruppe, e quei trofei
ed ella stessa caddero nel ruscello. Le sue vesti
si gonfiarono intorno e la sostennero
per qualche tempo come una sirena,
mentre ella intonava spunti di vecchie canzoni,
quasi fosse inconscia della propria sventura, 
o come una figlia dell'acqua, familiare
a quell'elemento. Ma per poco, poiché le sue vesti,
pesanti per l'acqua assorbita, trascinarono l'infelice 
dal suo melodioso canto a una fangosa morte.
[Regina, IV - vii ]

A lei diversi artisti hanno dedicato opere di incredibile bellezza: due delle quali vi mostro (e amo tantissimo). e in seguito vi lascio una descrizione che ne ha fatto Cesare Catà nel suo saggio Chiedilo a Shakespeare.

Sopra: John Everett Millais Sotto: Friedrich Heyser


Ofelia è una pallida candela che si estingue muta nel nero della notte. 

 

Quello che ho trovato ancora una volta molto interessante è che tutti i personaggi hanno le proprie luci ma anche le proprie ombre: sono perfettamente umani.
Esseri travolti da un mondo ostile e falso, nel quale forse alcuni non riescono a ritrovarsi, sentendosi fuori quadro, fuori posto.
Di quest'opera si potrebbero spendere fiumi di parole, adottare diverse interpretazioni, ma è sicuramente una delle più conosciute e amate del Bardo inglese. Una tragedia di vendetta, di potere, di malinconia. Un dramma sul senso dell'esistenza, su quella che è la macchina misteriosa e complessa che è l'uomo: la comprensione e riflessioni sulle azioni umane, sulle motivazioni psicologiche per certi gesti.
Un'opera complessa, ma estremamente affascinante.

Amleto è un personaggio nel quale mi sono rivista in alcuni momenti della mia vita. E come scrive Cesare Catà nel già citato “Chiedilo a Shakespeare”: ...l'Amleto può insegnare la preziosissima arte della disperazione. [...] ... non c'è niente di male a sentirsi fuori posto; a pensare che la vita faccia schifo, quando siamo sovrastati dal mare delle nostre pene. Anzi, forse è proprio attraverso questa disperazione che possiamo trovare la differenza più autentica tra essere e non essere, un obiettivo luminoso da inseguire per sentirci vivi.

Il resto è silenzio.

 

 

 

Ho letto l’opera nella traduzione di Eugenio Montale contenuta nel volume “Shakespeare I Drammi Dialettici” curata da Giorgio Melchiori e pubblicata nei Meridiani Mondadori.

Titoli da cui ho tratto altre informazioni e riflessioni:
- Shakespeare. Genesi e Struttura delle opere, di Giorgio Melchiori (Edizioni Laterza)
- Chiedilo a Shakespeare. Gli antidoti del Bardo al mare delle nostre pene, di Cesare Catà (Pone alle Grazie)
- Shakespeare creatore di miti, di Paolo Bertinetti (UTET)

Voto: ♥♥♥♥♥

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