Aspettando il Salone: presentazione del libro “Archivio dei bambini perduti” di Valeria Luiselli

13 Sep 2019

Libri
Riflessioni
Una Marchigiana a Torino

        Pochi giorni fa mi sono iscritta in biblioteca, qui a Torino. Avevo voglia di leggere un libro e ho colto l'occasione giusta per fare la tessera. Quando vivevo in Ascoli i momenti più belli li ho trascorsi proprio lì, con magiche lezioni-spettacolo di Cesare Catà, ricerche per la tesi, ma soprattutto tanti libri, alcuni dei quali sono tornati a casa con me, per un mese, ma mi hanno donato tanto. Amo acquistare libri, ma... per chi ama così tanto leggere e circondarsi di questi preziosi amici ma non ha tutti questi soldi diventa difficile. E così le biblioteche ci vengono in aiuto (o anche i mercatini dell'usato!). Comunque tutto questo discorso per dire che, ieri sono tornata in biblioteca, per un incontro con autore nel programma “Aspettando il Salone”. Amo Torino perché la vedo davvero come la città del libro. Ogni volta che esco non riesco a resistere, e mi intrufolo in librerie, o percorro i portici alla ricerca di titoli che vorrei. E poi qui ce ne sono tanti di incontri con l'autore!

L'autrice in questione in verità non la conoscevo. Ammetto la mia ignoranza. Però, leggendo la trama del suo libro, sono rimasta così colpita e colma di curiosità che ho deciso di andarla a sentire. Purtroppo non ho preso il libro, per il motivo scritto poco fa, ma appena avrò la possibilità sicuramente ne porterò a casa una copia. Il motivo? Penso che sia una lettura molto molto importante, una di quelle che fanno riflettere tantissimo sulla nostra realtà, o comunque su un mondo non distante dal nostro, e anche come romanzo possa dare tanto. Alla conclusione di questo articolo vi lascio la trama, così potete farvi anche voi un'idea.

 

Terzo nome del programma è stata, quindi, Valeria Luiselli che ci ha parlato del suo nuovo libro “Archivio dei bambini perduti”, pubblicato da La Nuova Frontiera. Vederla mi ha trasmesso subito una bella sensazione. È molto semplice, ma sembra anche molto forte. Dalle sue parole è evidente la sua voglia di far aprire gli occhi su un tema importantissimo, donare la sua voce e il suo aiuto, in qualche modo. O almeno questo mi ha trasmesso.

Ma veniamo all'incontro.

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Il tutto si è svolto in una sala della Biblioteca Civica Centrale di Torino - proprio quella dove mi sono iscritta - e c'erano davvero tante persone. Ho potuto notare che alcuni avevano una copia staffetta, perché gruppi di lettori che hanno avuto la possibilità di leggerlo in anteprima - se non ho errato nel capire -. Ho notato anche dei blogger che seguo, ma... la mia timidezza ancora mi impedisce di conoscere altre persone, forse anche perché in realtà non sanno neanche che esisto. Tralasciando questi pensieri non richiesti, passiamo alla presentazione e alle parole di Valeria, che è stata “guidata” in un dialogo con Martino Gozzi.

   

Valeria, messicana, ha vissuto in vari luoghi, in Corea, Africa, e attualmente negli Stati Uniti. Ha scritto questo libro in inglese perché parla e scrive in entrambe le lingue, avendo vissuto all'età di sei anni in Corea del Sud e frequentato una scuola americana. La sua istruzione è inglese, quindi era molto più complicato per lei scrivere un libro in spagnolo. Eppure, per il suo primo libro ha deciso di farlo, per riacquistare una sorta di rapporto con la città in cui è nata: Città del Messico.

Valeria ha parlato anche di altri libri: Dimmi come va a finire, ad esempio, un saggio dove racchiude la sua esperienza come traduttrice e interprete per quei bambini che hanno oltrepassato da soli il muro che separa Messico e Stati Uniti nella speranza di ritrovare i loro genitori. Ma non è facile, perché senza documenti, devono trovare un avvocato che possa trovare un espediente, un modo per non farli tornare indietro.

        dav         Dimmi come va a finire e Archivio dei bambini perduti sono quindi, in un certo senso, collegati. Il punto di origine di entrambi, infatti, è un viaggio: quello che Valeria e la sua famiglia compiono nel 2014 da New York all'Arizona, fino al confine. È la prima volta che l'autrice vede la frontiera dal lato statunitense e con i proprio occhi la crisi migratoria dei bambini non accompagnati che tentavano di attraversare quel muro, e che proprio in quell'anno ha avuto il suo picco. Tra ottobre 2013 e giugno 2014, infatti, quasi 60.000 bambini non accompagnati e senza documenti arrivano negli Stati Uniti cercando asilo politico, un riparo, o semplicemente un modo per ricongiungersi con i propri genitori. All'epoca Obama era ancora presidente e le sue politiche per affrontare questa crisi sono state poco opportune, non sagge, anzi, complicarono ancora di più l'iter giudiziario di questi bambini. Un esempio? Fu accorciato il tempo per trovare un avvocato al fine di chiedere asilo: da un anno a 21 giorni. Inoltre, furono gli anni in cui iniziarono a costruire altri km di quel muro che divide i due stati e che, nel sud dell'Arizona, le persone che vivevano a poca distanza, chiamavano "Muro di Obama". Questa idea dei bambini chiusi in una sorta di limbo, l'ha ossessionata così tanto, che ha iniziato a prendere appunti: inizialmente erano frutto delle sue reazioni, delle reazioni della stampa locale, ma anche pensieri ed emozioni dei suoi figli, come loro reagivano a questa questione che riguardava, in fondo, dei loro coetanei.

Tornata dal viaggio, ha iniziato così a collaborare per cercare di dare una mano. Come traduttrice e interprete in un tribunale degli Stati Uniti: ascoltava le testimonianze di questi bambini in spagnolo e poi le traduceva in inglese, trasmettendole in seguito a un avvocato che avrebbe poi messo su un caso per difendere la sorte di questi innocenti. In contemporanea, è iniziata la stesura del libro “Archivio dei bambini perduti”: ma si è accorta ben presto che stava diventando più un deposito delle sue emozioni che un vero e proprio romanzo: la sua ira, la sua tristezza, parte di queste testimonianze, e ha deciso di interromperne la scrittura perché non stava facendo nulla di utile, né stava trasmettendo una soluzione al problema mettendo queste testimonianze in una trama narrativa.

Questo l'ha spinta a scrivere un saggio, Dimmi come va a finire, dove ha raccolto queste testimonianze, dove poteva vedere la situazione da vicino. Solo in seguito ha ripreso il romanzo, cercando di conferirgli il suo giusto aspetto, il suo corretto stile narrativo.

Il romanzo contiene molti aspetti, ma soprattutto delle scatole che la coppia di protagonisti porta con sé in un viaggio verso la Frontiera: libri, polaroid, e c'è il riflesso della fine di un matrimonio.

Torna anche, come nel saggio, la storia di due bambine molto piccole, che Valeria ha conosciuto quando lavorava in tribunale. Due bimbe di 4/6 anni che non riuscivano a comunicare bene quello che era successo, e ben presto si capisce che con quella storia a metà, non avrebbero potuto aiutarle. Una storia che l'ha molto turbata, ossessionata, e non ha mai saputo nulla della loro sorte.

Voce narrante del libro è quella di una documentarista che, insieme al marito, si occupa di documentare tutti gli idiomi e le lingue parlate a New York. Entrambi hanno dei figli da relazioni precedenti, un maschio e una femmina. Quando il loro rapporto si incrina, decidono di fare questo viaggio: il padre con l'intenzione di visitare il luogo dove l'ultima banda di guerrieri apache si è arresa all'esercito americano; la madre per trovare una risposta a una realtà grave, ossia quella dell'emergenza migratoria dei bambini che attraversano da soli il confine.

Ci sono tanti voci, dagli appunti dei documentari del loro lavoro, alle parole tratte dai libri letti, ma nessuno dei personaggi ha un nome. Valeria Luiselli rivela così che in realtà anche in alcuni dei suoi precedenti romanzi (come ad esempio, in Volti nella folla) i personaggi non ne hanno. Non ci sono neanche descrizioni fisiche. Questo perché per lei...    

Mettere il nome a un personaggio è come quando afferri un insetto - o una farfalla - e lo infilzi con una puntina contro il muro e lui rimane lì, immobile.

   

Ammette che anche da lettrice, i personaggi con un nome la tengono in una sorta di distanza. Sembrano quasi dei mondi precostituiti. Inoltre, negli Stati Uniti, dare un nome a un personaggio significa stabilirne subito l'identità razziale e culturale, il suo linguaggio, generando anche dei pregiudizi. Si dona una certa identità che è impossibile da togliere, come se fosse una camicia di forza che tiene fermo il personaggio. Il suo desiderio è quindi quello di permettere che siano i lettori a domandarsi chi siano queste persone.

E infine si è parlato di suoni. Il suono come un qualcosa che ci obbliga a rallentare, che non dà una comprensione immediata della realtà - come una foto - ma spinge quasi a rallentare il tempo, a entrare in una sorta di luogo contemplativo dove analizzare meglio la realtà delle cose, senza rendere tutto effimero, fugace. Critica anche l'uso eccessivo del cellulare, che ci rende schiavi, in un mondo che già corre troppo in fretta, e che ha cambiato le nostre reti neuronali, la comunicazione, il nostro modo di stare al mondo, il senso stesso del tempo, e come diamo valore alle cose.

Insomma, ho cercato di riportare il più possibile del suo discorso. Ed io l'ho trovato davvero molto interessante. Voi che ne pensate? Vi lascio con le trame dei due libri che sono stati citati, che a mio modesto parere, meritano entrambi di essere letti.

Io, come già detto, poi non l'ho preso il libro. Ma entra - anzi entrambi! - dritto nella mia lista desideri. Appena possibile li leggerò con molto piacere!

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“Per quale motivo sei venuto negli Stati Uniti?”. Questa è la prima di quaranta domande che Valeria Luiselli pone ai bambini che varcano le porte del tribunale di New York alla ricerca di un permesso di soggiorno. Nel 2015 l’autrice, impressionata dall’ondata di minorenni soli e privi di documenti arrivati alla frontiera, capisce che non è più il momento di restare a guardare e decide di fare qualcosa. Inizia così a collaborare come interprete volontaria con un’associazione di avvocati che assiste i minori e si batte contro la loro espulsione. Il risultato di quell’esperienza è racchiuso in queste pagine, in cui le domande poste ai bambini servono da spunto per gli interrogativi che la stessa autrice si pone sulla natura dei legami familiari, sull’infanzia, la comunità e soprattutto sull’identità e il senso d’appartenenza. Senza fornire risposte preconfezionate, Dimmi come va a finire è un invito all’azione, è una lettura che scuote la coscienza e ci mostra come sia possibile “trasformare il capitale emotivo – la rabbia, la tristezza, la frustrazione generate da particolari circostanze sociali – in capitale politico”. [pp 96, 13 euro - La nuova frontiera]

         

51887M49TaLUna macchina avanza sulle strade americane. All’interno una coppia e i due bambini nati da precedenti relazioni. Il padre e la madre sono documentaristi, si sono conosciuti durante una mappatura degli idiomi parlati a New York, la metropoli linguisticamente più eterogenea del pianeta. Si sono lasciati alle spalle la casa in cui sono diventati una famiglia. Davanti a loro una lunga lingua d’asfalto che li spinge verso un futuro incerto. Sono diretti in Arizona: il padre vuole visitare il luogo dove l’ultima banda di guerrieri apache si è arresa all’esercito americano. La madre vuole invece vedere con i propri occhi la realtà di quella che i notiziari chiamano “emergenza migratoria”: bambini che attraversano da soli il confine.

In un alternarsi di paesaggi desertici, polverose città di frontiera e soste in motel, si delinea una nuova mappa dell’America d’oggi, un territorio profondamente segnato dalla storia, dalle migrazioni e dalle conquiste. Lo stesso paesaggio che, in cima a un treno merci, attraversano anche i bambini perduti con un numero di telefono cucito sui vestiti.

Con Archivio dei bambini perduti Valeria Luiselli ha scritto il grande romanzo del presente americano, un lessico famigliare composto di voci, testi, suoni e immagini che unisce al senso politico dello scrivere l’idea che vita e letteratura siano un unico e sterminato labirinto di echi e rimandi continui. [pp 448, 20 euro - La nuova frontiera]

   

Valeria Luiselli (Città del Messico, 1983) è autrice di due romanzi, Volti nella folla e La storia dei miei denti e dei saggi Carte False e Dimmi come va a finire, tutti pubblicati da La Nuova Frontiera. Collabora abitualmente con numerosi giornali e riviste di lingua spagnola e inglese tra cui The New York TimesThe New YorkerGrantaThe GuardianEl País e McSweeney’s. Le sue opere, tradotte in più di venti lingue, hanno vinto importanti riconoscimenti internazionali come il Los Angeles Times Book Prize e l’American Book Award. Valeria Luiselli è stata due volte finalista del National Book Critics Circle Award e del Kirkus Prize. Attualmente vive a New York.

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