Aspettando il Salone: presentazione del libro “Kentuki” di Samanta Schweblin

24 Oct 2019

Libri
Una Marchigiana a Torino

   

Sono diversi giorni che qui a Torino piove e c'è un cielo grigio che turba sempre il mio animo. Per fortuna non fa freddo, almeno quello, anche se so che non è molto normale come clima. Comunque mi spiace, posso accettare anche il freddo - anche se sto male - ma la pioggia mai. A meno che non puoi stare chiusa in casa, con un bel camino acceso, una tazza di bevanda bollente e un buon libro. Sì, immagine stupenda, ma... non è meglio un bellissimo cielo azzurro che calma un po' la tua anima in subbuglio?

Lasciando da parte il clima, ieri ho avuto la possibilità di partecipare a un altro incontro di #AspettandoIlSalone e sono andata ad ascoltare un'autrice di un libro che ho letto di recente: Samanta Schweblin e il suo Kentuki, pubblicato in Italia da Edizioni SUR. Per sapere cosa ne penso del libro vi rimando alla mia recensione. Oggi, invece, come sempre vi racconto un po' quello che è stato detto e le mie brevi impressioni.

 

Ieri, in verità, la giornata è partita male. Dolori ovunque, malesseri che mi hanno portata a distendermi a letto e... a far dannatamente tardi! Perché se io non sono ritardataria e non devo correre per raggiungere un evento non sono contenta. Aggiungiamo la pioggia, la metro che si blocca due fermate prima della tua, l'ansia che mi ha colto, la corsa per arrivare alla Biblioteca Natalia Ginzburg - luogo a me non noto, anche perché sono a Torino da appena un anno, e diciamo che non è una città tanto piccola! -. Corsa, sudata, paura di non fare in tempo e poi... l'autrice era lì fuori, e io ho potuto rilassarmi, trovando posto ed esultando ma anche mandandomi a quel paese per il mio solito far tardi.

Samanta Schweblin mi ha subito colpita. In verità credo che abbia creato un romanzo - anche se lo definirei quasi una raccolta di racconti con un tema comune - davvero originale, ma ha raccontato anche diverse cose molto molto interessanti, sull'Argentina - la sua terra - e anche sulle riflessioni che l'hanno portata a scrivere i suoi libri. Ottima la traduttrice, Giulia Zavagna, e il dialogo si è svolto con Fabio Geda.

     

Una presentazione interessante, sì, ma all'ennesimo pronunciare la parola "Tette" - perché compare nell'incipit del romanzo - non mi andava più di ridere. Oh, son sincera. A parte questo, sono contenta di aver assistito a questo incontro, tanto più di vedere la sala ricca di presenze. Anche autori “meno conosciuti” meritano, tanto più che spesso sono più carini con i lettori di tanti altri molto più noti (frecciatina? Sì).

       

Iniziamo a raccontarvi tutto un po' nel dettaglio...

    Samanta Schweblin e la sua esperienza di scrittura in Germania.

Samanta Schweblin è un'autrice argentina che da sette anni vive a Berlino. Sette anni fa, infatti, ha vinto una residenza di scrittura di un anno presso un'istituzione tedesca, durante la quale le venivano pagati alloggio e stipendio. Una borsa di studio tra le più importanti del mondo. Un'esperienza che ti permette di scrivere, senza dare nulla in cambio.

Scrivere in spagnolo in Germania è stato molto complicato. All'inizio di questa esperienza non parlava il tedesco, né bene l'inglese; si è concentrata su quest'ultima lingua per lavoro e quindi ha vissuto in una sorta di bolla, con la sensazione di vivere la città a metà. Da un lato però questo capire le cose a metà, essere costantemente sull'orlo del malinteso, è stata anche una fonte di ispirazione, ti porta a farti molte idee. Era consapevole del problema del linguaggio tutto il giorno.

A Berlino ha trovato una comunità di spagnoli in cui tutti tendono a parlare uno spagnolo piuttosto neutro, accessibile a tutti, per capirsi. Entrando in contatto con le varianti di questa lingua, appena appare una parola che definisce qualcosa che nella tua non esiste, o non sai come esprimerlo per farti capire, è come se te ne appropriassi. Quando scrive, quindi, i suoi personaggi si ritrovano a parlare forma linguistica molto particolare pur essendo molto argentini.   DSC_0321     Argentina.

È difficile definire che cos'è Argentino e cosa non lo è. I primi due libri scritti in Argentina venivano percepiti come neutri, quando sono stati tradotti dall'Europa l'impressione era che fossero l'Argentinità in sé stessa. Nei successivi, scritti a Berlino, c'è molto più della sua terra, come se avesse un maggior bisogno di nominare quei luoghi, perché ormai lontana: appaiono quindi nomi di strade, di quartieri, come se avvertisse l'esigenza di riconoscersi nel suo paese, se provasse una sorta di nostalgia. In Kentuki non c'era il bisogno di parlare solo di Argentina, in quanto è un libro globale, anche se si parla ovviamente solo di una metà del mondo, quella più tecnologica.

   

Scrittura e laboratori di scrittura.

Samanta Schweblin ha pubblicato cinque libri, tre raccolte di racconti e due romanzi.

Non si sente una scrittrice di racconti o di romanzi, bensì quello che fa è Scrivere Storie. Ogni storia ha le sue regole interne e occupa un certo numero di pagine. In Argentina poi c'è una grande tradizione di racconti. Ci sono moltissimi laboratori di scrittura, infatti si dice che il problema più grande è che ci sono più scrittori che lettori. Inoltre i racconti danno la sensazione che siano una sorta di apprendistato per lo scrittore, che successivamente si metterà al lavoro sul serio con un romanzo vero e proprio.

Quasi la metà degli scrittori Argentini ha il suo laboratorio di scrittura nel quale insegna la sua idea - che cambia da persona a persona - e lo fa non attraverso una struttura, come l'università, ma nel proprio appartamento, nel salotto di casa, in un ambiente intimo. Ciò può accadere anche con un grande scrittore, creando una relazione molto sana con tutto il procedimento della scrittura.

Lei ha deciso di farlo a Berlino. Credeva che questa tradizione Argentina fosse realizzata anche in altre parti del mondo, ma poi si è accorta che così non è.

Si può davvero imparare a scrivere in questi laboratori oppure no?  Non tutti hanno il talento della scrittura. La Schweblin ritiene sia necessario desacralizzare un po' l'idea dello scrittore. Il talento non è un tocco magico, è una cosa personale: è lo sguardo unico e personale che abbiamo sul mondo. E tutti lo abbiamo. Il laboratorio può aiutare a scoprire quello sguardo.

    hdr         Il concetto di... stranezza, di ciò che è inspiegabile.

Samanta è molto interessata al tema della stranezza, soprattutto quando questa stranezza entra nel piano del quotidiano e crea uno stato di allarme diverso dal consueto. Fa degli esempi: come reagiresti se dopo essere uscita dalla doccia, nella tua stanza trovassi tua madre (reale)? Un mostro (irreale)? Un enorme, maestoso, cavallo bianco (inspiegabile)? Nel campo del reale reagisci in qualche modo. ( È successo qualcosa? Perché è qui?) Nel campo dell'irreale reagisci in un altro modo, quasi giochi a spaventarti. (Provi paura, spavento, voglia di scappare...). Se entriamo nel territorio dell'inspiegabile restiamo paralizzati perché non sappiamo che decisioni prendere. Tutta l'attenzione è volta a comprendere quali decisioni adottare, cosa fare. È una sorta di spazio magico in cui non sai cosa sta succedendo ma vuoi capirlo. È questo il posto più potente in cui le piace inserire il suo lettore. 

La sua scrittura viene da una tradizione, quella del racconto Rioplatense, un racconto che si svolge ai due lati del Rio della Plata, tra Uruguay e Argentina, soprattutto nella zona di Buenos Aires. Racconti di un fantastico quotidiano, non fatto di mostri, fate, ecc... un fantastico che avviene dentro casa, che crea quasi il dubbio che ci sia realmente un elemento simile.

      kentukiKentuki.

All'inizio l'attirava molto l'idea di Essere un Kentuki, per la curiosità di vedere la vita di una persona dall'altra parte del mondo, poi scrivendo e approfondendo la questione si è messa anche al posto del Padrone e ciò ha risvegliato interrogativi morali.

C'è una vera e propria differenza tra dispositivi simili al Tamagotchi e i Kentuki: con il primo ti confronti con un dispositivo tecnologico, un'intelligenza artificiale, c'è una connessione tra uomo e macchina. Con il Kentuki ci sono due persone, collegate da una tecnologia, che però in questo caso in un certo senso sparisce. Può essere rappresentato come il simbolo di cosa facciamo sui social media; il modo in cui interagiamo potrebbe avere conseguenze sull'altro che non possiamo immaginare. Cerca quindi, nel suo libro, di parlare di tutte queste possibili situazioni senza nominare nello specifico la tecnologia.

Il problema con la tecnologia e i social lo ha provato direttamente ed è finito anche nel romanzo. Sostiene anche che manca una specie di etichetta, un dizionario per il nostro comportamento digitale; prendiamo decisioni virtualmente che non si sa dove ci porteranno. Nel romanzo viene fuori quanto sia problematico il nostro rapporto con la tecnologia. Molti scrittori - compresa lei - fanno uno sforzo enorme per evitare di nominare la tecnologia nei testi, come se generasse una sorta di rifiuto all'interno della letteratura. Appena appaiono uno o due termini tecnologici, specifici, il genere viene subito etichettato, associato alla Fantascienza o Distopia. La letteratura è lo spazio in cui noi pensiamo la società, la mettiamo alla prova, la tecnologia viene anche rifiutata dalla letteratura perché non gli abbiamo messo dei chiari limiti.

    Letteratura e Serie TV.

Samanta riflette anche sul fatto che una decina di anni fa ci sia stato un grande cambiamento tecnologico che ha modificato in qualche modo tutte le arti, tranne la letteratura, dove è cambiato solo il supporto attraverso cui noi la fruiamo. L'unica tecnologia nella letteratura è la testa del lettore. 

Il boom delle serie TV forse ha influenzato la letteratura. Quasi la metà delle serie TV sono tratte dai libri e molti degli autori vi lavorano, ma c'è qualcosa nel tempo che è molto diverso dal cinema. La Serie TV ci abitua per molti mesi a essere in contatto con molti personaggi,  noi comprendiamo ben presto chi sia il buono, chi il cattivo, conosciamo il mondo creato, il narratore, e quindi appare come una relazione molto simile a quella che il lettore instaura con il romanzo. Inoltre, nelle serie TV letterarie sta cambiando anche la forma narrativa che non è più ben definita, con un finale che conclude. Si crea una sorta di attesa, siamo di fronte a una storia che continua, e rende molto più importante tutto il resto della narrazione rispetto al finale e ciò è una cosa alla quale il lettore forte è molto abituato.

     

Ho cercato come sempre di riportare un po' tutto, anche riscrivendolo a mio modo, pur esprimendo tutti i concetti affrontati. Ora vado a leggere un po', ma torno presto, con - spero - un luuungo articolo sul mio amatissimo Tolkien!

     
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